giovedì 6 agosto 2009

BUONE VACANZE

LA REDAZIONE DI CU.SP.I.D.E. AUGURA AI SUOI LETTORI BUONE VACANZE




IL DIRETTORE
Michele Luca Nero

mercoledì 5 agosto 2009

never ending stories - immagini senza tempo


Domenica 16 agosto 2009, alle ore 18.30, presso la Canonica della Chiesa di San Michele Arcangelo di Villacanale, verrà presentata l’ultima personale di pittura di Michele Nero, NEVER ENDING STORIES/immagini senza tempo, con il patrocinio dell’Associazione Culturale “Nuova Villacanale” e la collaborazione del Web Magazine CU.SP.I.D.E. (www.cuspide.biz)


Piccole realtà che sfuggono all’occhio umano, frammenti di vita troppo spesso sommessi. Ricordi lontani, di antiche memorie quasi perdute, impareggiabili sfondi emozionali. Quando la mente viaggia con un biglietto di sola andata alla ricerca perenne di attimi di semplicità che non esistono più ma che rivivono nonostante il trascorrere del tempo. Un tempo circolare, dell’eterno ritorno, dove corsi e ricorsi storici si confondono con una natura selvaggia, a tratti dimenticata; terra di confine tra l’universo e l’oblio, infinitamente povera quanto mai ricca . . .


COMUNICATO STAMPA


N.E.S. (NEVER ENDING STORY) come sinonimo di eternità.

Immagini senza tempo che, come piccoli frame, uniscono e dividono.

Nell’immaginario collettivo ogni scorcio (N.E.S.) assume una valenza differente, per alcuni positiva - legandosi a ricordi piacevoli - per altri negativa.

In ogni caso ogni N.E.S. si caratterizza come universo a se, carico di significato per il semplice fatto di esistere.

Eteree e fuori dal tempo (timeless), le N.E.S. attraversano una vasta gamma di atmosfere, nitide o confuse, a colori o in bianco e nero, ma sempre incredibilmente accattivanti.

Così rivivono le vecchie facciate o il grande campanile, i lampioni e le minuscole strade che collegano una casa all’altra.

A volte difficili da contestualizzare, mantengono sempre un’aura di immortalità.

Anche per coloro che non le hanno vissute personalmente, le N.E.S. conservano sempre la soddisfazione visiva di un’immagine senza tempo, che comunque in qualche modo riesce a toccare le corde dei sentimenti più intimi e, attraverso la forma e il colore, a restituire un senso di appagamento interiore che ne determina il piacere.


never ending stories
immagini senza tempo

Canonica / Chiesa di San Michele Arcangelo
Villacanale (IS)

Domenica 16 agosto 2009, ore 18.30 (vernissage)

Con il patrocinio di:

Associazione Culturale “Nuova Villacanale”
www.villacanale.it


CU.SP.I.D.E.

CUltura Spettacolo Intrattenimento Divagazioni artistiche Etno-gastronomia

www.cuspide.biz
info@cuspide.biz
Official blog:
immaginisenzatempo.blogspot.com

martedì 28 aprile 2009

La Mer – La Dentelle, La Dentelle – La Mer

Anticipando l’ufficialità della consegna alla città di Calais del nuovo Museo: Cité International de la Dentelle et de la Mode de Calais, Maria Dompè, artista italiana particolarmente sensibile agli eventi con forte connotazione territoriale, realizza un opera ambientale di intenso impatto sensoriale.Il progetto prevede un intervento sul territorio: un singolare intreccio cromatico di leggerezza si snoda dal nuovo complesso museale, coinvolgendo l’intera area limitrofa.A partire da giovedì 14 maggio 2009, l’edificio dell’antica officina collettiva Boulart, diviene il palcoscenico dell’ “incursione nello spazio” dell’artista italiana.“Una trama tessuta unitamente alla antica tradizione del merletto di Calais, giunto dal mare dalla vicina Inghilterra. Una tradizione da preservare come prezioso patrimonio culturale, così come il mare, essenza della natura, sfruttata dall’essere umano. Con questo intento nasce il messaggio La Mer – La Dentelle, La Dentelle – La Mer per la cittadinanza di Calais che deve ricordare il proprio patrimonio e per l’intera collettività che deve salvaguardarlo. Onore alle fabbriche di Dentelle che continuano con grandi sacrifici a far sentire il suono delle macchine per produrre ancora il tessuto della magia. È bello pensare ad un filo che ha riunito così tante famiglie nella produzione di un tessuto fatto di spazio e vuoti, le stesse famiglie che spero si ricongiungeranno attorno al nuovo museo, segnando una contemporaneità della tradizione nell’arte e nella vita di Calais. M.D.”Nella Sua intima capacità di dialogo con lo spazio, di esplorazione dei contenuti, un “percorso” unico ed univoco,una fusione trascendente tra il mare come espressione divina della natura e la dentelle come espressione della creatività umana. “…Trasferito in una altra sfera, il mio viaggio ai confini del tempo poteva essere paragonato a una nuotata infinita nella quale corpo e spirito si ricongiungono sottoforma di unione sacra. …Ma affinché avvenisse il miracolo, tutto doveva incentrarsi in quel punto di equilibrio dove ogni gesto, ogni sforzo e persino la scelta più insignificante tendono allo stesso scopo: la ricerca dell’assoluto attraverso la sublimazione dell’arte di navigare. …Allora l’onda immane è tornata per trasportarmi più lontano, molto più lontano ancora, fino all’apice di me stesso. Lì ho intravisto con la mia barca tali sommità che il mio cuore sembrava sul punto di scoppiare, come palloncini che volano troppo in alto. E in quella immensità, dove mare e vento sprigionano scintille che salgono al cielo per fondersi insieme sotto il grande afflato delle stelle, ho ritrovato l’Alleanza…“Bernard Moitessier dal libro «Tamata e l’Alleanza» Una citazione per rafforzare idealmente il messaggio artistico. Bernard Moitessier: un simbolo della vela mondiale, un filosofo della vita, un’icona spirituale, per rappresentare l’intenso legame della città di Calais con il mare e la dentelle. L’«Alleanza», quell’unione planetaria che è il seme della vita dell’uomo.

DAL LABORATORIO ATELIER AL MUSEO



Il Museo degli Strumenti Musicali di Roma, dal 14 al 21 maggio 2009, diventerà una sorta di appendice dell’atelier – laboratorio dell’architetto Massimo Di Cave.

Negli ultimi vent’anni questo intellettuale, estroverso e creativo, si è dedicato soprattutto al tema dell’abitazione, ridisegnando spazi e ambienti dominati dalla contaminazione geografica, da culture lontane e dalle infinte possibilità della linea curva.
E’ solo negli ultimi anni che l’invenzione svincolata dai limiti della composizione architettonica, si è espressa in maniera libera e solo apparentemente giocosa, in opere di scultura e pittura realizzate con una manualità di artista del passato.

La sofferenza degli esseri umani e il loro desiderio di redenzione è ben rappresentata dal Cristo in Croce (conservato nella Cappella delle Confessioni, Chiesa di San Pio X), verso cui protende le braccia un uomo che rappresenta il desiderio di elevazione dell’umanità.
Molto interessanti le esili figure scavate nel legno, che ricordano i bronzi di Giacometti, mentre la lezione del ready- made duchampiano è presente nei collage e nei dipinti.

Ferro, bulloni, tondini e lamiere sono gli elementi architettonici che, riassemblati e trasformati da una potente vena creativa, diventano elementi di un percorso artistico variegato e complesso.

lunedì 23 marzo 2009

I Sabini popolo d’Italia

“I Sabini popolo d’Italia. Dalla storia al mito”: dal 20 marzo al 26 aprile 2009 il Complesso del Vittoriano ospita una grande mostra di carattere storico, artistico e archeologico che vuole raccontare le vicende dell’antico popolo dei Sabini e la fortuna del loro mito attraverso i secoli. Promossa dalla Provincia di Rieti con il sostegno della Regione Lazio e della Provincia di Roma, l’esposizione, che nasce sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Comune di Rieti, sarà inaugurata giovedì 19 marzo alle 18.30 presso il Complesso del Vittoriano.La mostra presenta per la prima volta insieme, l’antico popolo e il suo mito, le tracce della sua esistenza e quelle lasciate nell’immaginario collettivo a comporre un quadro suggestivo che attraversa millenni di storia e di arte. Oltre 120 le opere esposte tra reperti archeologici, antiche carte geografiche, codici, manoscritti, miniature disegni, olii su tela e sculture che indagano per la prima volta la fortuna del celeberrimo episodio del Ratto delle Sabine nell’arte dall’epoca dei Romani, attraverso il Medioevo, il Rinascimento, il Barocco, il Neoclassicismo fino alle testimonianze dell’arte contemporanea.L’esposizione si avvale della cura scientifica di Maria Carla Spadoni per la sezione storica, di Giovanna Alvino per la sezione archeologica, di Maria Grazia Bernardini per la sezione dedicata al mito dei Sabini nell’arte, di Alessandro Cosma e Roberta Cerone per la sezione sui Sabini tra letteratura, musica e cinema.La direzione e il coordinamento generale della mostra sono di Alessandro Nicosia.

La mostra
I Sabini sono un’antica popolazione italica insediatasi, a partire dal X-IX secolo a. C., dapprima nella conca reatina e poi in un territorio assai esteso tra Umbria e Lazio, delimitato a nord dal fiume Nera e a sud dal corso dell’Aniene. La loro importanza storica, di cui oggi forniscono un’idea gli eccezionali manufatti riportati alla luce dalle campagne archeologiche, è sottolineata dalle fonti latine - Varrone e Tito Livio tra tutti – che ne descrivono l’incontro con i Romani e il ruolo nella fondazione della città di Roma. Saranno proprio le vicende legate a quest’ultimo episodio, che sconfinano e si confondono nella leggenda, ad alimentare il mito dei Sabini e a consegnarlo alla storia e, soprattutto, all’arte che ne ha tratto infinita ispirazione dall’antichità ad oggi.

La mostra è divisa in quattro sezioni.- I Sabini popolo d’ItaliaLa prima sezione, curata da Maria Carla Spadoni, docente di Epigrafia Latina presso l’Università di Perugia, presenta un inquadramento storico che chiarisce le origini e le vicende del popolo dei Sabini anche attraverso una serie di antiche carte della sabina storica ed un contributo video che darà all’inizio del percorso la linea guida dell’intero itinerario.

I Sabini nell’antichità
La seconda sezione, a cura di Giovanna Alvino, funzionario della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio, introduce alla civiltà dei Sabini attraverso alcuni manufatti rinvenuti nei principali siti archeologici della provincia di Rieti: l’abitato di Cures, le necropoli del Giglio (Magliano Sabina), di Colle del Forno (Montelibretti), di Poggio Sommavilla e di Saletta Amatrice. Saranno esposti oggetti di raffinata fattura, destinati all’ornamento personale o all’ostentazione del potere religioso e politico. Accanto ad un rarissimo lituo, strumento utilizzato dai re-sacerdoti sabini per fare le previsioni basandosi sul volo degli uccelli, si potranno ammirare i corredi funerari di personaggi di alto lignaggio, come il corredo del principe della necropoli di Colle dal Forno, o il trono del cosiddetto re di Eretum.

Il Mito nell’Arte
La terza sezione della mostra, curata da Maria Grazia Bernardini, funzionario della Soprintendenza speciale per il patrimonio storico artistico ed etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Roma, analizza invece la straordinaria fortuna del mito dei Sabini e, in particolare, del celebre episodio del Ratto. L’arte di tutti i tempi, infatti, ha scelto di rappresentare questo episodio modificandone di volta in volta le valenze per adattarle ai diversi contesti storici e culturali. Nel corso della mostra si ripercorre quindi la genesi del tema nell’arte classica, la sua continuità in epoca medievale e la sua fortuna in epoca rinascimentale e nel corso del XVII e del XVIII secolo. Tra la selezione di opere d’arte presenti, scelte nelle differenti epoche in modo da testimoniare la continuità del mito nella storia ma anche i suoi differenti utilizzi, si annoverano preziose miniature medievali e opere celeberrime di Sodoma, Giambologna, Poussin, Luca Giordano, Tiepolo fino alle più recenti riflessioni di grandi artisti del Novecento come Arturo Martini, Primo Conti e Franco Gentilini.

Il Ratto delle Sabine dalla letteratura al cinema
La quarta e ultima sezione espositiva, curata da Alessandro Cosma e Roberta Cerone, storici dell’arte, è dedicata alla ripresa del mito del Ratto delle Sabine nel teatro, nella letteratura e nel cinema. Il leggendario episodio è stato infatti fonte di ispirazione per numerosi drammi musicali rappresentati nel corso del XVII e XVIII secolo, dall’adattamento di Giacomo Francesco Bussani al celebre Romolo ed Ersilia di Metastasio. Ma il Ratto delle Sabine si è prestato anche ad innumerevoli riletture poetiche in dialetto romanesco che, tra Ottocento e Novecento, da Trilussa a Mario dell’Arco, ne offrono una versione ironica ed attualizzata. Allo stesso tempo, nella seconda metà del XX secolo, anche il cinema non ha mancato di trarre ispirazione dal celebre episodio. Riprese esplicite, come nel caso di Mario Bonnard, con protagonista Totò (1945), e di Richard Pottier (1961), si alternano così alle suggestioni del racconto mitologico in Sette spose per sette fratelli di Stanley Donen (1954) e in Sotto il segno dello scorpione dei fratelli Taviani (1969).In mostra, Michele Placido in un filmato introduttivo racconterà il mito dei Sabini attraverso curiosità, aneddoti, racconti.

martedì 3 marzo 2009

FABULA “In Defence of African children”

Musei di San Salvatore in Lauro
Piazza San Salvatore in Lauro, 15 - 00186 Roma
27 Febbraio – 22 Marzo

Inaugurazione venerdì 27 febbraio ore 19,30

Le opere di 42 artisti verranno messe all’asta la sera di venerdì 27 febbraio per finanziare quattro scuole in tre Paesi africani, l’Angola, la Sierra Leone e il Madagascar. Nell’occasione verranno anche premiati i migliori disegni che bambini italiani e bambini del Continente hanno realizzato per illustrare le loro favole tradizionali.

L’importanza della tradizione di un popolo per la comprensione della sua storia, della sua costante crescita culturale e del suo sviluppo socio-politico vedono infatti nello studio dei racconti, delle favole e delle fiabe uno strumento privilegiato.

La mostra-evento FABULA “In Defence of African children” è organizzata dalla Galleria d’Arte Contemporanea Via Metastasio 15 e da Alberto Michelini, già Rappresentante Personale del Presidente del Consiglio per il G8-Africa, per proporre una inedita riflessione sulla cultura italiana, in particolare romana, in relazione alla cultura della civiltà africana, grazie a una raccolta di testi tratti dalle opere di Fedro, di Italo Calvino e a una selezione di racconti africani.

Il progetto ha anche la finalità di innescare una nuova possibilità di scambio culturale e di sensibilizzazione sociale utilizzando le favole, che diventano il cuore di un catalogo-libro, arricchito dai disegni dei bambini e dalle opere di grandi artisti, in cui cultura italiana e cultura africana si trovano equamente rappresentate in un chiaro messaggio di interscambio e rispetto culturale.
La mostra ha inoltre lo scopo di garantire uno strumento per il sostegno della formazione dei bambini in Africa, la fascia più debole della popolazione spesso abbandonata al suo destino. Con la prima edizione del progetto l’interesse è stato rivolto alle comunità di tre Stati africani, l’Angola, il Madagascar e il Sierra Leone, per intervenire con un supporto concreto alle necessità primarie di tanti bambini giornalmente esposti alle difficili condizioni di vita del loro paese natale. I fondi ottenuti dalla mostra sono a sostegno del progetto UNICEF per costruire una scuola nella capitale dell’Angola, Luanda, e a sostegno di tre scuole situate in Mbanza Congo nell’Angola del nord, negli Stati del Madagascar e della Sierra Leone.

Gli istituti che hanno partecipato dall’Africa alla prima edizione di Fabula inviando i disegni dei bambini sono la scuola Help for Life, villaggio Matuku (Sierra Leone), la scuola La Maison D’Aïna (Madagascar) e la scuola Scuola Rev.do Frei Pedro Tosato Capuchinos, Luanda (Angola).

All’iniziativa, organizzata da Bianca Alfonsi, Alessia Montani, Giorgia Simoncelli e da Alberto Michelini, si è unito il generoso entusiasmo del Presidente Unicef Italia Vincenzo Spadafora, del Sotto Segretario ai Beni Culturali, Francesco Giro, del Soprintendente speciale per il Polo Museale Romano Claudio Strinati, della Consigliera per le Relazioni Esterne del Sindaco di Roma Valeria Mangani, dell’on Mario Baccini Presidente della Fondazione Foedus, del giornalista Costanzo Costantini, del Presidente dell’Istituto Nazionale per il Commercio Estero Umberto Vattani, del prof. Adolfo Panfili, della direttrice dell’UNIDO ITPO Italy Diana Battaggia nonché di Roberto E. Wirth, Anna Fendi, Santo Versace e Laura Gucci.

Come rappresentanti dei Paesi africani che il progetto FABULA “In Defence of African Children” sostiene nella sua prima edizione, l’ambasciatore dell’Angola, Manuel Pedro Pacavira e l’ ambasciatore del Madagascar, Jean Pierre Razafy-Andriamihaigo.

Forte e solidale è stata la risposta del mondo dell’arte: Mario Ceroli, Sandro Chia, Franco Ciuti, Emilio Farina, Emilio Greco, Piero Guccione, Alessandro Kokocinski, Graziano Marini, Vincenzo Marsiglia, Umberto Mastroianni, Igor Mitoraj, Sante Monachesi, Mimmo Nobile, Mimmo Paladino, Arnaldo Pomodoro, Oliviero Rainaldi, Lithian Ricci, Eugenio Sgaravatti, Armando Tanzini e Natalia Tsarkova sono presenti con una loro opera donata per l’asta benefica del 27 febbraio.

A questi si aggiungono nuovi nomi dell’arte contemporanea come Angeladellaluna, Brunello, Peppe Butera, Andrea Cadenelli, Nado Canuti, Natino Chirico, Alessio Deli, Luigi de’ Navasques, Julieta Ferrero, Sidival Fila, Silvana Galeone, Alexei Kyrilloff, Francesca Leone, Chicco Margaroli, Marcello Maugeri, Matteo Montani, Zaira Piazza, Francesca Romana Pinzari, Luigi Recchi, Fabiana Roscioli, Stefano Francis Spelar e Gianni Villa.

Il catalogo-libro delle favole della prima edizione del progetto FABULA “In Defence of African Children” è edito dalla Casa Editrice Il Cigno di Lorenzo Zichichi

Sabrina Carletti

Mercoledì 11 marzo 2009, alle ore 18.00, il locale Rust in via del Teatro Pace, inaugura la mostra personale di Sabrina Carletti Strutture, un evento in collaborazione con l'Associazione Culturale Studio OR. Verranno presentate per l'occasione sette tele di grandi e piccole dimensioni dell'artista romana. Sabrina Carletti usa il colore come materia, impasto oleoso e bituminoso. Sedimenti e diluizioni si intersecano e si addossano, segnano i profili ed annullano i volumi, assorbono ogni prospettiva e profondità quasi a governare con la loro viscosa tenacia ogni sensazione di visuale realtà. Sabrina Carletti rappresenta la realtà metropolitana a modo suo, trascritta con un segno inquieto e pulsante. Sono le forme indefinite, perse, travasate di città, paesaggi, luoghi di momenti importanti che rendono unici i suoi quadri. La sua tecnica innovativa e sorprendente è il primo aspetto di una visione d'artista particolare. Così nascono le "città" sommerse da un mare profondo e opaco, blu scuro e limpido, che quasi ci rendono partecipi di un "viaggio" tra un presente ed un passato che insistentemente si ripropone, non negabile non invisibile, ma continua richiesta risposta alla domanda che vuole sapere il perché. (Roberto Fiore) "Il bitume è materia e, al contempo, segno. Corpo e scrittura che rinviano immediatamente alla produzione grafica dell'artista. Non si coglie fino in fondo il carattere della sua pittura se non si considera la sua grande passione per le tecniche incisorie" (Idra Mitrano) Sabrina Carletti vive e lavora a Roma. Ha al suo attivo diverse esposizioni collettive ed è stata selezionata a diverse Biennali e Rassegne di Incisione, in Italia e all'estero. Nel 2008 presenta nella sua prima personale a Roma le incisioni e i dipinti degli ultimi due anni di lavoro. Vince nel 2007 la V Estemporanea di Incisione del Comune di Formello e nel 2008 riceve il Terzo premio (Centro per l'Incisione e la Grafica d'Arte, Formello). Oggi le sue opere sono presenti in diverse raccolte pubbliche e private. Sito nel cuore di Roma, a pochi passi da Piazza Navona, Rust è il risultato tangibile di un insieme di sinergie: architettura, arredamento di design e arte culinaria si fondono per creare un'atmosfera semplice ma allo stesso tempo sofisticata e trendy. Rust è un locale di ultima generazione dove si può gustare una buona cucina italiana.
RustVia del Teatro Pace, 34-37 - 00187 RomaChiuso il martedì Tel +39 06 68801145www.rust-roma.it -info@rust-roma.it

SACRO E BELLEZZA DELL'ETIOPIA CRISTIANA - "Nigra sum sed formosa"

Per la prima volta in Italiauna grande, innovativa mostra sull'Etiopia cristiana con materiali in gran parte inediti
E' la prima grande mostra che l'Italia dedichi all'arte più che millenaria dell'Etiopia. Ad ospitarla non poteva che essere Venezia che già nel '400 instaurò con il regno che dominava il Corno d'Africa legami economici, religiosi e culturali molto stretti. Tanto da inviare laggiù, su richiesta del non più mitico "Prete Gianni", propri pittori la cui attività avrebbe poi influenzato per secoli l'espressione artistica di quelle terre.
Fondamentale nella realizzazione dell'iniziativa il ruolo di collegamento tra i vari soggetti coinvolti e il supporto progettuale fornito all'Università Ca' Foscari e alla Regione Veneto da parte di un'azienda di credito, Banca Popolare FriulAdria, che ha inteso in questo modo connotare con un grande evento culturale il progetto di rafforzamento della propria presenza in territorio veneto.
Curatori della mostra, che verrà allestita dal 13 marzo al 10 maggio nella sede espositiva dell'Università Ca' Foscari lungo il Canal Grande, sono Giuseppe Barbieri, Gianfranco Fiaccadori e Mario Di Salvo, coadiuvati da un ampio comitato scientifico internazionale.
Il titolo della mostra "Nigra sum sed formosa" rinvia al celebre versetto del Cantico dei Cantici interpretato in relazione alla regina di Saba. E' stato scelto per ricordare l'antichità dell'esperienza religiosa biblica e cristiana in terra etiopica. Qui sussiste ancora oggi una sorta di chiesa delle Origini, degli Apostoli, che ha saputo conservare, nei riti e nelle rappresentazioni artistiche, lo spirito della prima età evangelica. Un unicum cui non è estraneo il fatto che l'Etiopia cristiana sia venuta rapidamente a trovarsi circondata da popoli islamici. Il forte radicamento di una tradizione cristiana nell'impero del Leone coincise dunque con l'affermazione di una identità etnica, linguistica e culturale, che in buona misura, pur attraverso molte fasi critiche, è giunta sino a noi.
Venezia è stata, almeno già dall'epoca del grande re Zar'a Yâ'qob (1434-68), uno dei partner più significativi, tra gli stati europei, dell'impero etiope, a ribadire così la sua funzione di porta di collegamento tra Oriente e Occidente. Questo elemento segna l'assoluta pertinenza della città di San Marco, che è sede di uno dei più importanti e antichi patriarcati d'Occidente, come luogo e scenario della mostra.
L'esposizione si presenta come un organico e affascinante "racconto", imperniato su riconoscibili personaggi: la Regina di Saba; il Re Lâlibalâ (sec. XII-XIII), da cui prende nome la città santa costruita sulle montagne del Lasta, la "Nuova Gerusalemme" a beneficio dei pellegrini Etiopi, impediti a recarsi in Terra Santa dalla presenza islamica, al modo in cui nell'Europa medievale si realizzavano le varie copie del Santo Sepolcro; il re Zar'a Yâ'qob, sotto di cui, nel XV secolo, il Paese si aprì decisamente alle presenze occidentali; il pittore veneziano Nicolò Brancaleon, detto Marqorêwos (Mercurio), documentato alla corte dei re Eskender e Lebna Dengel fra XV e XVI secolo.
A Ca' Foscari saranno in mostra materiali di straordinaria importanza storica ed artistica, testimonianze preziose e per la più parte inedite: icone, croci, rotoli magici, codici miniati, incisioni, capolavori cartografici, come il Mappamondo di Fra Mauro, rari libri di modelli. A concederle, spesso per la prima volta, sono raccolte private e pubblici musei, nazionali e internazionali. Ad affiancare questi eccezionali reperti originali numerosi contributi a visualizzazione multimediale (musiche, filmati, fotografie opportunamente trattate...) della civiltà religiosa e della grandezza estetica dell'impero del Leone.Suggestione e rigorosa documentazione saranno, quindi, le cifre di questa affascinante mostra.
Ad accompagnare i visitatori nelle diverse sezioni sarà il prof. Stanislaw Chojnacki, patriarca degli studi moderni sull'arte etiopica. Sarà uno dei molti interventi di multimedialità messi a punto da Ca' Foscari. Così come a un gruppo di lavoro interno, quello affidato al professor Augusto Celentano, si deve un prototipo fortemente innovativo di guida multimediale mobile, realizzata in ambiente iPod. In questo modo la mostra diventa un prestigioso laboratorio per gli studenti dell'Ateneo, impegnati a declinare anche nelle più innovative forme dell'edutainment un itinerario denso di reperti e temi di rara suggestione.
Questa importante componente multimediale è messa a servizio della comprensione e della contestualizzazione delle meraviglie originali proposte dall'esposizione. Consentendo di entrare fin dentro lo spazio e lo spirito di monumenti, luoghi e di cerimonie sacre che hanno contribuito a tenere vivissimo un credo bimillenario in terra d'Africa.

A Ravenna torna la Borsa delle 100 città d’arte d’Italia

Oltre quattromila metri quadri di estensione, 200 espositori, 103 tour operator della domanda da 26 paesi, 600 operatori italiani dell’offerta, tremila contatti commerciali, 150 relatori impegnati nei numerosi eventi congressuali. Sono questi i numeri della tredicesima edizione della Borsa del turismo delle 100 città d’arte d’Italia che, per il secondo anno consecutivo, si svolgerà a Ravenna dal 28 al 31 maggio. Palazzi storici, musei e giardini della città offriranno un palcoscenico esclusivo agli oltre cento siti d'arte, che presenteranno ai visitatori spettacoli, eventi e degustazioni in un percorso alla scoperta di tradizioni locali e memorie che costituiscono un patrimonio unico al mondo. Non mancheranno, in questa tredicesima edizione, importanti novità che arricchiranno la proposta di “Arts and Events”, rendendola più stimolante non soltanto per il pubblico ma anche per gli addetti ai lavori, nel segno di una tradizione che si rinsalda guardando al futuro. L'area espositiva si sdoppia per offrire nuove opportunità. Oltre alla Piazza del Popolo, che accoglierà gli stand promozionali per i borghi e i centri d'arte d'Italia, la vicina Piazza Garibaldi diventerà un movimentato teatro all'aperto con “Porta in scena la tua città”: degustazioni, riproposizioni di antichi mestieri, artigianato, esibizioni musicali e danze folkloristiche ricomporranno lo straordinario mosaico di culture e memoria locali che è l'Italia.

mercoledì 25 febbraio 2009

Flash grafiche 1960 – 1990

Nell’ambito delle celebrazioni per il centenario del Futurismo (1909 – 2009) e della Rassegna

Il Liceo Artistico Ripetta, Palazzo Camerale, via di Ripetta 218, piazza Ferro di Cavallo,
inaugura, sabato 7 marzo 2009 alle ore 18.00, la mostra
Lina Passalacqua

Flash grafiche 1960 – 1990

a cura di Maria Privitera, con la presentazione di Stefania Severi


Durante l’esposizione verrà proiettato il video Lina Passalacqua: un autoritratto, prodotto dalla Teleromacine nel 1990, con testo di Stefania Severi per la regia di Pino Passalacqua.

La mostra si avvale dei patrocini dell’ Assessorato alle Politiche Educative e Scolastiche del Comune e della Provincia di Roma.

In occasione della mostra è stato edito dalla Società Editrice Romana un catalogo monografico di 104 pp. con testi critici di Renato Civello e Cinzia Folcarelli, contenente inoltre un vasto apparato grafico e bibliografico.

“Viviamo nell’epoca del flash e tutto appare frammentario, anche i nostri sentimenti subiscono questa caratteristica. Sono impressionata dai flash della nostra epoca, dalle “schegge” di vita che ci colpiscono continuamente.Vivo in una società fatta di flash, che rischia di perdere la memoria storica e, forse, anche quella morale.” (L. Passalacqua, in un colloquio con E. Benedetto nella redazione di “Futurismo Oggi”-1989)

In mostra sono esposti trenta dei cento “disegni-pittura” contenuti nel catalogo, realizzati da Lina Passalacqua dal 1960, in piena Pop – Art, al 1990, su suggestione del lavoro di Andy Warhol e di altri artisti. Utilizzando i giornali dell’epoca, con un procedimento particolare di trasferimento dell’immagine sul supporto cartaceo, e successivamente intervenendo con i colori, Passalacqua crea questi flash di vita, memorie del tempo e dello spazio contemporaneo, non più realizzabili con i giornali di oggi, a causa della diversa composizione dell’inchiostro che non permette un buon trasferimento dell’immagine.

Natura, essere umano, macchine e ingranaggi si fondono tra loro raccontando quaranta anni di storia e di personaggi che l’hanno caratterizzata. Stilisticamente le opere sono un misto di Futurismo e Pop Art, caratterizzate da un forte dinamismo; sono state esposte nel corso degli anni in numerose mostre personali e rassegne, ma solo oggi l’artista ha deciso di presentarle a Roma.

Lina Passalacqua, che ha insegnato trentacinque anni nel Liceo Artistico Ripetta, ritorna oggi in questo luogo, dove sono passati tanti altri grandi artisti che hanno fatto la storia dell’arte italiana.

L’esposizione sarà visitabile fino al 21 marzo con i seguenti orari: dal lunedì al venerdì 9.00 - 13.00; 15.00 -19.00; sabato 9.00 -13.00; chiuso la domenica;

CROMOFOBIE, percorsi del bianco e del nero nell’arte italiana contemporanea

Percorsi del bianco e del nero nell’arte italiana contemporanea

a cura di Silvia Pegoraro
Pescara, EX AURUM
14 febbraio - 31 maggio 2009


Dal 14 febbraio al 31 maggio 2009 l’EX AURUM di Pescara, affascinante struttura progettata da Giovanni Michelucci negli anni Trenta, ospita la mostra “CROMOFOBIE, percorsi del bianco e del nero nell’arte italiana contemporanea”.


La mostra, curata da Silvia Pegoraro, è realizzata dalla Regione Abruzzo e dal Comune di Pescara nell'ambito di un progetto pilota della PARC - Direzione generale per la qualità e la tutela del paesaggio, l'architettura e l'arte contemporanee del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, intitolato "SENSI CONTEMPORANEI", con la collaborazione del Ministero per lo Sviluppo Economico e della Biennale di Venezia.

L’idea della mostra dedicata ai “Percorsi del bianco e del nero nell’arte italiana contemporanea” è nata dalla fascinazione esercitata sulla curatrice dal grande “Tunnel” optical di Getulio Alviani, presente all’interno dell’Ex Aurum di Pescara. Si tratta di una grande opera-ambiente, fondata su una semplicissima e complessa interazione ottico-mentale tra il bianco e il nero.


“Mi auguro - scrive Silvia Pegoraro - che questo grande lavoro di Alviani, racchiuso nel cuore dell’edificio di Michelucci, anzi, ormai parte di esso, possa essere universalmente e durevolmente interpretato come il segno e il simbolo della vocazione artistica di questo luogo: della sua splendida vocazione ad ospitare eventi d’arte e cultura di grande valore e di ampio respiro. Eventi che superino il corto raggio degli interessi e delle competenze di una sia pur vivacissima provincia. Perché la forza di un territorio si misura dal suo sapersi idealmente allargare, fino ad abbracciare ciò che è apparentemente lontano, ciò che sta oltre l’ambito locale (o localistico), catturandone, sapientemente, l’attenzione, l’energia, le risorse”.


La mostra “CROMOFOBIE” vuole essere una panoramica significativa della presenza del bianco e del nero nell’arte italiana contemporanea, dal dopoguerra ad oggi, a partire cioè da espressioni storicizzate del bianco e del nero nell’arte, sia iconica che aniconica, sino ad arrivare agli sviluppi più attuali delle ricerche sul bianco e il nero, nelle giovani generazioni.


Saranno presenti 76 artisti, ed esposte circa 130 opere, per costruire un percorso storico-tematico che vada, appunto, da lavori già “storicizzati” ai lavori di artisti delle ultime generazioni.
Solo per citarne alcuni: Enrico Baj, Alberto Burri, Enrico Castellani, Giuseppe Caporossi, Gino De Dominicis, Lucio Fontana, Ezio Gribaudo, Piero Manzoni, Gastone Novelli, Giuseppe Santomaso, Angelo Savelli, Mario Schifano, Antonio Sanfilippo, Giulio Turcato e Emilio Vedova. Non dimentichiamo Carla Accardi, Domenico Bianchi, Luigi Boille, Nicola De Maria, Omar Galliani, Jannis Kounellis, Fabio Mauri, Gianfranco Notargiacomo, Nunzio, Oliviero Rainaldi, Giuseppe Spagnulo, Marco Tirelli e Gilberto Zorio, e fra i giovani Andrea Chiesi, Paolo Grassino, Luca Pancrazzi e Gino Sabatini Odoardi.


Il bianco e il nero possono significare l'assenza o la somma di tutti i colori, e nel Novecento assurgono a simbolo della tautologia, categoria fondamentale e fondante di tanta arte del XX secolo, tutta più o meno legata a una radice "concettuale" in senso lato, dal Quadrato bianco su fondo bianco di Malevič al bianco "assoluto" di Ryman, ai neri di Burri e di Reinhardt.


Molti artisti contemporanei usano il bianco e il nero con una forte consapevolezza della tensione che questi non-colori determinano, perché di fronte al vuoto o al silenzio lo spettatore è preso da una sorta di vertigine che può sgomentare oppure può innescare uno stimolante meccanismo di ricerca, inconscia o consapevole, tale da mettere in moto tutte le sensibilità emotive e logiche, evocative e mnemoniche, come in una sorta di percorso iniziatico.


L’“assenza visibile di colore” e “la fusione di tutti i colori”, parimenti rintracciabili nel bianco e nel nero, diverranno per Vasilij Kandinskij e Kazimir Malevič oggetto di una costante riflessione che, trascendendo le considerazioni puramente coloristiche, coinvolgerà il gesto artistico nella sua interezza. E così pure per Paul Klee, nel suo continuo parallelismo tra pittura e musica, che lo porta alla realizzazione di opere celebri come Bianco polifonicamente incorniciato (1930).


Nel dopoguerra trovano espressioni di straordinario interesse, soprattutto nelle varie forme di “astrattismo”: dal primo Rauschenberg a Tobey, a Twombly, dal materismo di Burri al segno-scrittura di Novelli, allo spazialismo di Fontana, con le sue derivazioni in Manzoni, Castellani, Bonalumi, Scheggi, e nell’arte optical, con Alviani o Colombo. Ma anche nella figurazione la presenza del bianco e del nero è oltremodo significativa e suggestiva, come in certe esperienze legate in qualche modo al “Pop”, come quelle di Schifano e di Lombardo, o in grandi “inclassificabili” come De Dominicis.

venerdì 16 gennaio 2009

ALBERTO BURRI 1915 - 1995


Alberto Burri nasce a Città di Castello (Perugia) il 12 marzo 1915. Nel 1940 si laurea in medicina. Come ufficiale medico è fatto prigioniero dagli alleati in Tunisia nel 1943 e viene inviato nel campo di Hereford, Texas. Qui comincia a dipingere. Rientrato in Italia nel 1946, decide di abbandonare la medicina per la pittura. In quello stesso anno si stabilisce a Roma. Fra il 1947 e il 1948 espone in alcune gallerie della capitale. Nel 1951 fonda insieme con Capogrossi, Colla e Ballocco il Gruppo Origine e si propone il superamento dell’accademismo astratto. Dal 1950 i soggetti preferiti dell’artista diventano i Sacchi, esposti nelle mostre personali che, dopo Roma, si tengono anche in varie città europee e americane. Dopo il 1957 Burri presenta i Legni, le Combustioni, i Ferri nelle mostre che si tengono in alcune città statunitensi. Fra gli anni Sessanta e i primi Settanta vengono organizzate alcune importanti mostre retrospettive a L’Aquila (1962), Darmstadt, Rotterdam (entrambi nel 1967), Torino (1971) e Parigi (1972). Nel 1962 l’artista espone le prime Plastiche alla Galleria Malbourough di Roma. Agli inizi degli anni Settanta si registra una progressiva rarefazione dei mezzi tecnici e formali verso soluzioni monumentali, dai Cretti (terre e vinavil) ai Cellotex (compressi per uso industriale); si impegna inoltre nell’attività grafica: Poems di Minsa Craig (1970), Saffo di Emilio Villa (1973). Per il teatro, una delle sue grandi passioni, realizza le scenografie per Spiritualis (La Scala di Milano, 1963), per November Steps (Opera di Roma, 1972) e Tristano e Isotta (Regio di Torino, 1975). Nuove retrospettive vengono organizzate ad Assisi (1975), Roma (1976), Lisbona, Madrid, Los Angeles, Millwaukee, New York (1977) e Napoli (1978). In anni recenti Burri esegue organismi ciclici, a struttura polifonica. Il primo è Il viaggio, presentato a Città di Castello nel 1979 e passato poi a Monaco di Baviera; Orti a Firenze nel 1980, Sestante a Venezia (1983) e Annottarsi (1985 e 1988). Nel 1981 a Città di Castello s’inaugura una raccolta permanente delle sue opere a palazzo Albizzini. Nel 1984, a palazzo Citterio a Milano viene organizzata una grande retrospettiva con oltre 160 pezzi. Negli anni Ottanta Burri continua a esporre le sue opere a New York, Parigi, Nizza e Roma. Dopo l’acquisizione da parte delle Fondazione palazzo Albizzini degli ex seccatoi del tabacco a Città di Castello, nel 1990 si apre il complesso museale interamente dedicato all’artista. L’anno seguente vengono organizzate due altre importanti retrospettive, a palazzo Pepoli a Bologna e al Castello di Rivoli. Nel 1993, presso gli ex seccatoi del tabacco, viene aperto al pubblico un nuovo ciclo, dal titolo Il Nero e l’Oro. Nello stesso anno viene realizzata per Faenza un’opera in ceramica che porta lo stesso titolo, dono dell’artista alla città. Nel dicembre 1994 viene celebrata la donazione Burri agli Uffizi, che comprende oltre al quadro Bianco e Nero tre serie di opere grafiche. Alberto Burri muore a Nizza il 13 febbraio 1995.

Nel 1940 si laureò in medicina all' Università di Perugia e prestò servizio militare come ufficiale medico fino al 1943, quando fu catturato dagli inglesi in Tunisia. Cominciò a dipingere mentre era prigioniero di guerra a Hereford, nel Texas.

Dopo il ritorno in Italia nel 1946, approfondì i suoi interessi artistici, stabilendosi a Roma con il cugino della madre, il musicista Annibale Bucchi. La prima personale di paesaggi espressionisti e nature morte fu allestita nel 1947 presso la Galleria La Margherita. L'anno seguente dopo una serie di esperimenti ispirati a Joan Mirò e a Paul Klee, cominciò a creare le prime astrazioni in un ciclo di pezzi materici. Fin dall'inizio Burri si dimostrò sensibile al fascino delle proprietà fisiche dei colori, sia artistici che industriali, creando immagini di raffinata eleganza ottenute con mezzi poveri. I "neri" furono realizzati variando la consistenza del colore, creando contrasti di superfici lucide e opache, ritmi di screpolature casuali e variazioni di texture nel pigmento incrostato. Nelle "muffe", additivi presenti nel pigmento producevano "fioriture" di colore simili a una coltura batterica. Burri ha inoltre introdotto il concetto del monocromo fin dal 1951 con la serie dei "catrami" nero pece. Tele e telai tradizionali furono usati in maniera anomala per creare i "gobbi" tridimensionali tra il 1950 e il 1952; Burri vi inseriva supporti in legno per dare all'opera rilievo scultoreo. Nello stesso tempo portava a termine una radicale reinvenzione del collage con i "sacchi", tele ruvide rappezzate e rammendate, montate su telaio, che spesso portavano stampigliate scritte che denotavano la provenienza originaria. Per quanto avessero un precedente nelle "pitture Merz" di Kurt Schwitters, le composizioni di Burri abbandonavano l'ironia data a favore di una dimensione più ampia e di una visione tragica, subordinando sempre le qualità della ruvidezza e della casualità al rigore della sottostante struttura compositiva.

Nel 1951 insieme a Ettore Colla, Mario Ballocco e Giuseppe capogrossi, Burri fondò il gruppo "Origine". Il loro manifesto esaltava le qualità elementari della pittura, rinunciando all'illusione spaziale e al colore descrittivo, anche se le tele di Burri furono inevitabilmente interpretate come immagini di paesaggi, processi biologici, "carne viva", come metafore di carname e decadenza. Burri godette dell'appoggio del critico J. J. Sweeney che lo incluse nella mostra "Young Europeans Painters" al Gughenheim Museum di New York e fu autore della prima monografia sull'artista, pubblicata dalla Galleria dell'Obelisco nel 1955.

L'artista aveva cominciato a esporre all'estero nel 1953, favorevolmente accolto dala critica; le mostre alla Frumkin Gallery di Chicago e alla Stable Gallery di New York hanno fatto di lui l'artista italiano più famoso del dopoguerra in America. Robert Rauschenberg dopo averne visitato lo studio per due volte nel 1953, iniziò a produrre i suoi primi "combine paintings".

Il tema della metamorfosi ha indotto Burri a bruciare, fondere e carbonizzare materiali nelle "combustioni" e nei "ferri" alla fine degli anni Cinquanta, poi nei "legni" e nelle "plastiche" all'inizio degli anni Sessanta. Dal 1975 nel ciclo dei "cellotex" tavolati composti di segatura e colla, ha ulteriormente approfondito la ricerca sulle forme drammatiche e sui colori acri dei materiali sintetici.

La combinazione di composizione formale e di processo casuale ha gettato un ponte tra le generazione dell'arte informale e quella dell'arte povera. L'opera di Burri, insieme con quella di Fontana, è stata la più originale e radicale degli anni Cinquanta in Italia, fornendo ispirazione a un'arte di pura astrazione, indipendente dall'immediatezza gestuale dell'informale europeo.

Una rivoluzione, quella di Burri, durata 50 anni, dalle prime tele figurative del 1945 fino alle sperimentazioni più avventurose conclusesi con la sua morte nel 1995.
Se i Sacchi sono il richiamo più immediato a Burri, è solo seguendo le continue evoluzioni della sua ricerca che si può cogliere in pieno la forza dirompente della sua innovazione stilistica. È partendo dalle prime astrazioni del 1947, ispirate a Mirò e a Klee, che l'artista comincia a scoprire le potenzialità rivoluzionarie della materia. Dal pigmento incrostato, con i suoi contrasti e le sue screpolature, alle Muffe, vere e proprie «fioriture» che animano la tela. Con l'uso del catrame darà vita a monocromi spessi, quasi tridimensionali, resi ancora più plastici dall'introduzioni dei Sacchi. Mentre tra il '50 e il '52, con i Gobbi, riuscirà a imprimere alla tela vero e proprio rilievo scultoreo, «forzandola» grazie a supporti inseriti al suo interno. Dopo la consacrazione americana del '53 (partecipò alla mostra «Younger European Painters» al Guggenheim di New York) sarà la volta delle Combustioni. Il ferro, il legno e negli anni Settanta la plastica, sottoposti a vere e proprie metamorfosi, daranno vita a opere quasi violente, di grande espressività. Ma sarà nel 1975, dopo la serie dei Cretti, che Burri troverà la sua dimensione ideale: i Cellotex, tavolati composti da segatura e colla, saranno il luogo perfetto per l'uso «drammatico» dei colori, per l'alternanza dei neri e degli ori. I Cellotex sono la conclusione e il vertice della ricerca di Burri, una ricerca capace di ispirare alcune delle più grandi rivoluzioni artistiche del nostro tempo: dai «combine paintings» di Rauschenberg ai «décollage» di Rotella, fino agli «imballaggi» di Christo e ai «fuochi» di Yves Klein.


L’opera, progettata nel 1975 per la Comunità esistenziale di Arcevia (Ancona), viene realizzata nel 1984 in occasione della Biennale di Venezia; attualmente è smontata, e verrà eretta e ricolorata in nero a Città di Castello in un grande progetto urbanistico che coinvolge la piazza antistante palazzo Albizzini. Si tratta di una grande struttura in ferro formata da cinque archi a sesto ribassati ricavati in levare dal sezionamento di un tronco di cono. Rimanda quindi all’immagine dell’archivolto che Burri aveva già usato in alcuni suoi quadri. Il teatro è un vivo interesse per Burri sia dal punto di vista costruttivo (Teatro Continuo per la Triennale di Milano del 1973) che scenografico (Tristano e Isotta di Richard Wagner al Teatro Regio di Torino nel 1975). Il teatro rappresenta difatti per lui una trasposizione di opera totale, che diviene il grande motivo dei cicli degli ultimi dieci anni (Orti, Firenze 1980; Sestante, Venezia 1983) che prevedono una serie di dipinti affiancati da una grande scultura. Tra le grandi sculture libere rientrano Grande Ferro K esposto nel 1982 in occasione della VII edizione di Documenta a Kassel, Grande Ferro Celle, del 1986, per la collezione Gori a Pistoia, Grande Ferro U del 1990 per Città di Castello.


Nel 1982 l'artista realizza Sestante, un grande ciclo di diciassette cellotex e una scultura in ferro, che viene esposto da maggio a settembre dell’anno seguente nello spazio degli ex Cantieri navali della Giudecca a Venezia. L’evocazione del vecchio strumento nautico, che serviva ai viaggiatori per stabilire la posizione di un punto dato rispetto all’orizzonte, è un omaggio al destino marittimo di Venezia. I dipinti sono l'ennesima sfida di Burri: nelle loro combinazioni le forme e i colori del "sestante" creano un ciclo inesauribile dove non c'è la minima ripetizione. All’interno dello stesso quadro, o nell’accostamento di uno all’altro, il caleidoscopio delle forme fa sì che strutture quadrate e curvilinee convivano, insieme ad ampie campiture cromatiche e fitti patterns visivi. Ogni tela ha quindi una propria compiutezza, e tuttavia è parte di un insieme, di un ordine precostituito dove ogni quattro quadri uno, di base più stretta, batte una cesura. Il colore non è comunque una novità nell'opera di Burri, che ne ha fatto uso fin dal 1948 in piccole tempere astratte che affiancavano i cicli più famosi.



Nel 1973 Burri inizia a realizzare grandi opere in ceramica cotta chiara contenente caolino e massa resinosa che, cuocendo, produce una crettatura su tutta la superficie. La realizzazione di queste opere, i Cretti appunto, richiede dei tempi lunghi e una grande attenzione nel fissare l’immagine. Il risultato finale infatti è ottenuto variando il dosaggio del collante acrovinilico, calibrando gli spessori della materia (creta, caolino, bianco di zinco) distesa sul supporto, controllando i tempi di asciugatura in modo da provocare variazioni dimensionali della trama e maggiore profondità della stessa. Nel 1976, Burri realizza un monumentale Grande Cretto Nero per il Franklin D. Murphy Sculpture Garden alla University of California Los Angeles. Il secondo Grande Cretto è quello realizzato per il Museo di Capodimonte a Napoli. Nel 1981 nasce il progetto di fare dell’antica Gibellina, distrutta da un terremoto, un unico e monumentale Cretto rettangolare, di circa 300x400 metri, che ricopre parte delle rovine, intervenendo concretamente nell'architettura del paesaggio. I lavori, iniziati nell'agosto 1985, sono terminati nel 1989. L'ultimo grande cretto in ceramica, Nero e Oro, è presentato al Museo internazionale della ceramica di Faenza nel 1993.

La collezione Burri (fondazione Albizzini) è sistemata in due sedi: a Palazzo Albizzini e nell'ex seccatoio del Tabacco. In questi due luoghi sono raccolte 257 opere donate dal maestro Alberto Burri che qui era nato nel 1915.

Recentemente la collezione ha avuto un importante riconoscimento normativo. Nei locali della Fondazione (che organizza spesso conferenze ed altre inziative) sono sistemate anche una biblioteca ed una fototeca.

La Fondazione Palazzo Albizzini "Collezione Burri" nasce nel 1978 per volontà dello stesso Alberto Burri che, con una prima donazione, la dotava di trentadue opere. E' composta da membri del Comune di Città di Castello, della Cassa di Risparmio di Città di Castello, dell'Associazione per la Tutela dei Monumenti dell'Alta Valle del Tevere e dell'Università "La Sapienza" di Roma. E' stata riconosciuta con decreto del Presidente della Giunta Regionale dell'Umbria e ha assunto la denominazione dall'edificio che la ospita.

La Collezione a Palazzo Albizzini è stata aperta al pubblico nel dicembre 1981 e comprende circa centotrenta opere dal 1948 al 1989, ordinate cronologicamente in venti sale. Insieme all'altra sede espositiva degli Ex Seccatoi del Tabacco inaugurata nel luglio 1990, che ospita 128 opere dal 1970 al 1993, è la raccolta più esaustiva sull'artista, con opere di altissima qualità selezionate dal pittore stesso.

Presso la Fondazione sono allestite: la biblioteca, ricca di materiale relativo all'arte moderna e contemporanea (consultabile su preventiva richiesta scritta da parte di studenti e studiosi), la fototeca, che raccoglie tutta la documentazione riguardante l'opera di Alberto Burri e l'archivio, che conserva un'esauriente bibliografia sull'artista.

La Fondazione organizza periodicamente conferenze di arte antica, moderna e contemporanea, convegni di aggiornamento sull'arte contemporanea in collaborazione con autorevoli istituzioni parallele, nazionali ed internazionali, collabora direttamente e indirettamente alla pubblicazione di cataloghi di mostre delle opere dell'artista, cura la pubblicazione dei cataloghi e dei dépliant della Collezione. Ha redatto il volume "Burri - Contributi al Catalogo Sistematico" (1990).

Secondo le linee espresse dallo Statuto, l'istituzione opera per gestire e conservare l'esposizione permanente delle opere dell'artista e "per promuovere gli studi sull'arte del Maestro e la sua collocazione nel tempo". A questo scopo l'istituzione gestisce l'apertura al pubblico delle due collezioni, organizza conferenze annuali sull'arte contemporanea in collaborazione con soggetti quali la Pinacoteca di Brera, la Galleria degli Uffizi, la Tate Gallery di Londra, l'Accademia di Francia, l'Università di Parigi, l'IRRSAE.Le attività della Fondazione prevedono la curatela e la partecipazione a mostre di importanza internazionale con prestiti di opere e rapporti di collaborazione con altre istituzioni nazionali e internazionali, quali: Castello di Rivoli, Centro per l'arte contemporanea L. Pecci di Prato, Fondazione Fontana di Milano, Museo d'Arte Moderna Museion di Bolzano, M.A.R.T. Museo d'Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, Palazzo delle Esposizioni di Roma, Biennale di Venezia, Städtische Galerie im Lenbachhaus di Monaco di Baviera, Palais des Beaux-Arts di Bruxelles, Centre Pompidou di Parigi, Istituti Italiani di Cultura all'estero, the Solomon R. Guggenheim Museum di New York, ecc.

Ex Seccatoi del Tabacco

Il complesso industriale è sorto fra la fine degli anni '50 e la metà degli anni '60 del Novecento per l'essiccazione del tabacco tropicale, prodotto di una coltivazione particolare che aveva visto la valle coprirsi per vastissime zone di garza bianca. Sotto si ricreavano le condizioni di clima caldo umido in cui le piante avevano modo di vegetare; una coltura originale per la quale erano sorte strutture architettoniche irripetibili, salvate da sicura distruzione dall'attuale destinazione. Ma lo stabilimento nella sua attività, già in passato, aveva avuto impieghi diversi. Nel 1966, a seguito dell'alluvione di Firenze, evento disastroso che comportò la perdita di documenti fondamentali per la storia della civiltà europea, la Fattoria Autonoma Tabacchi ebbe modo di dimostrare la sua attenzione verso i valori culturali non solo relativi alla città e al suo territorio, offrendo l'uso delle attrezzature tecniche e del personale per il prosciugamento dei preziosi libri danneggiati della Biblioteca Nazionale Centrale, del materiale cartaceo del Tribunale Civile e Penale e della società editoriale "La Nazione".Con l'assistenza di personale specializzato vennero salvate migliaia di volumi, operazione delicata resa possibile dalla lunga esperienza professionale delle maestranze, tanto più efficace perché portata a termine in tempi ragionevolmente brevi in rapporto alla enorme capienza dei seccatoi. Negli anni '70 la coltivazione, non più redditizia, venne cessata e con essa anche l'uso dei seccatoi. Risale al 1978 la concessione in uso gratuito all'artista, da parte della società proprietaria, di un capannone che nel 1979 fu aperto per la presentazione alla critica ed al pubblico del primo vasto ciclo pittorico denominato " Il Viaggio ".L'acquisizione di tutto il complesso da parte della Fondazione Palazzo Albizzini, resa possibile nel 1989, ha dato l'avvio al progetto generale di recupero ed adattamento museale. L'uso di immobili così singolari ha consentito l'esposizione di dipinti altrettanto singolari, anche nella dimensione, ulteriore donazione del pittore alla sua città, vivace luogo di incontro di antiche culture che ha prodotto nel tempo originali testimonianze di grande civiltà. Lo spazio espositivo, inaugurato nel luglio 1990, ospita 128 opere realizzate dal 1970 al 1993, comprendenti cicli pittorici e sculture monumentali, collocate anche sul prato all'esterno. I "cicli" nascono alla fine degli anni settanta : non più opere singole, ma un insieme di opere che costituiscono un'unità e, come tali, inscindibili. Tutti i cicli (Il Viaggio, Orsanmichele, Sestante, Rosso e Nero, Annottarsi, Non Ama il Nero ecc.) che si trovano ora esposti in modo definitivo presso gli Ex Seccatoi, erano inizialmente stati creati per spazi particolari, scelti fra tanti proposti. A partire dalla metà degli anni settanta si fanno sempre più rare le partecipazioni dell'artista a mostre collettive e per le personali egli prima individua gli spazi, poi crea le opere che di quello spazio hanno necessità.




Sitografia essenziale di riferimento

www.fondazioneburri.org

http://www.babelearte.it/

http://www.artinvest2000.com/

martedì 13 gennaio 2009

HIROSHIGEIL MAESTRO DELLA NATURA

il Sol Levante arriva a Roma
con la grande mostra
HIROSHIGEIL MAESTRO DELLA NATURA
Per la prima volta in Italia 200 opere di uno dei più grandi artisti giapponesi di ogni tempo La Fondazione Roma, presieduta dal Prof. Avv. Emmanuele Francesco Maria Emanuele organizza a Roma, presso il proprio spazio espositivo, il Museo Fondazione Roma (già Museo del Corso) – dal 17 marzo al 7 giugno 2009 – la mostra Hiroshige. Il maestro della natura. La mostra, per la prima volta in Italia, presenta 200 opere di Utagawa Hiroshige (1797-1858), provenienti dall’Honolulu Academy of Arts, Hawaii.Hiroshige, uno dei più grandi artisti giapponesi di ogni tempo, ebbe una notevole influenza sulla pittura europea e soprattutto sull’impressionismo e post-impressionismo. Imitato da numerosi artisti del XIX secolo, il caso più celebre resta quello di Vincent Van Gogh che si ispirò profondamente alla sua tecnica e alle sue tematiche e riprodusse in modo fedele alcune delle sue opere in quadri famosissimi. Promossa dalla Fondazione Roma e prodotta in collaborazione con Arthemisia, la mostra è a cura di Gian Carlo Calza, con il coordinamento scientifico di The International Hokusai Research Centre. E rappresenta un’occasione unica per conoscere un artista che, per la straordinaria capacità di contemplare ed esprimere la natura nel suo lato più armonico, anche nel bel mezzo di tempeste di neve o gorghi di mare, ancora oggi veicola il messaggio di una intensa capacità di ascolto religioso che accomuna i sentimenti dell’uomo al respiro del cosmo, avvicinando l’infinitamente piccolo allo sconfinatamente grande.

MYSTERIUM CONIUNCTIONIS & Visioni da Madmountain

LUCA MARIA PATELLA

MYSTERIUM CONIUNCTIONIS & Visioni da Madmountain
1973-1984
AuditoriumArte
AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA, ROMA
Dal 15 gennaio all’8 marzo 2009
INAUGURAZIONE 15 GENNAIO ORE 17

In concomitanza con il Festival delle Scienze 2009, dal tema ‘L’Universo’, nell’Anno Mondiale dell’Astronomia, il 15 gennaio si inaugura in AuditoriumArte il progetto espositivo di Luca Maria Patella “Mysterium Coniunctionis & Visioni da Madmountain”.

Costruita su un nucleo centrale di 17 opere, l’installazione ambientale organizzata in collaborazione con la Fondazione Morra di Napoli e la Fondazione Musica per Roma, si amplierà con altri lavori pensati ad hoc per l’occasione e lo spazio espositivo in Auditorium.

Il Mysterium Coniunctionis è un’opera, o meglio un opus, al quale l’artista ha lavorato per vari anni (il primo inizio risale al 1973: e la conclusione (?) è del 1984) che implica la ricostruzione di rappresentazioni astronomiche e mito celesti, realizzate dal cosmografo della Serenissima Repubblica di Venezia, M. V. Coronelli, per il re Sole, nel 1693, e dedicate all’anno futuro 1700. L’intervento di Patella non è però volto alla costituzione del tradizionale globo celeste, ma propone due grandi Cupole Stellari rovesciate, o Coppe aperte dei Cieli; e anche due grandi Tele, con le rose degli Emisferi Celesti. Il tutto relazionato con i Cieli aperti, ideati dal padre Luigi Patella, cosmologo umanista.

Su due ‘Colonne gemelle’ sono disposti i due Vasa physio-nomica (il rapporto tra ‘phisys’e ‘nomos’: natura, pulsione, inconscio; e norma, cultura, coscienza): un esame attento dello stagliarsi di questi vasi classici, contro il fondo bianco del muro, o anche l’osservazione delle rispettive ombre, farà scoprire, con sorpresa, che essi sono esattamente ricavati - al tornio – dai profili fisiognomici di Luca e Rosa, la compagna dell’artista. Altri elementi completano l’insieme, quali: gli azzurri Cieli fosforescenti in cui, al buio, brillano gli astri, liberati dai legami delle Costellazioni. Il piccolo Sacellum del Tempus / Templum, che, nelle sue antine di legno, rinchiude ed apre la totalità di un altro cielo secentesco, nonché un ‘rotundum aureum’ ed alcune ‘parole cosmiche’ (con – sider- are = osservare attentamente gli astri; dis – astro; con - sol – azione, etc.). O i Bastoni tortili, che si avvitano e legano l’alto al basso, con i colori delle funzioni psicologiche.

Il Misterium Coniunctionis propone una “lettura dei Miti scritti nella profondità onirica dei Cieli, e una circolazione fra di essi”, concepita come un viaggio proiettivo nelle sfere psicologiche personale e archetipica: come un’opus ambientale in cui la dimensione immaginaria, di creatività traboccante dialettizza con la parallela formazione scientifica e psicanalitica dell’artista, nella profonda convinzione come lui stesso scrive, che “la via oggi aperta alla ricerca e all’arte sia quella di un’autentica compromissione concreta e globale, fatta di scontri, incontri, sconfinamenti, sul piano creativo, sul piano etico e su quello delle semiologie”.

Molti anni dopo un tour nei Musei di capitali europee, Londra, Bruxelles, Mannheim, Vienna e Humlebaek nell’ambito della grande mostra ‘L’Art et le Temps (regarde sur la quatrième dimension)’ del 1984 a cura di M. Baudson, il Mysterium Coniunctionis viene ora presentato finalmente anche a Roma, all’Auditorium, in occasione del Festival delle Scienze 2009.

Mostra a cura di Anna Cestelli Guidi
Orario
dal lunedì al venerdì dalle 17 alle 21;
sabato, domenica e festivi dalle 10 alle 21
ingresso libero

lunedì 12 gennaio 2009

L'ARTE DELLA COMMEDIA

di Eduardo De Filippo

con
Stefano Altieri, Renato Scarpa, Carlo Lizzani,
Massimiliano Franciosa, Roberto Della Casa, Annalisa Favetti,
Riccardo Cascadan, Michele Lella, Ludovica Rosenfeld
scene Alessandro Chiti costumi Isabella Rizza musiche Pino Cangialosi
regia Stefano Messina

Il povero capocomico di una compagnia di attori girovaghi rimasto senza il suo capannone itinerante in seguito ad un incendio, chiede aiuto al Prefetto della città dove è rimasto bloccato. Dalla discussione dei due protagonisti, segnata da violenti contrasti e divergenti visioni, scaturisce una riflessione sul teatro e sulla sua funzione nella società, sull’impegno dello stato a favore dell’arte e sulla condizione degli attori. Ma il dialogo tra arte e potere sembra essere un dialogo tra sordi.

Un tema attualissimo e scottante perché, come dice Eduardo, “il problema del teatro non riguarda solo chi lo fa, riguarda tutti indistintamente”.

Una commedia che con divertimento e una vena di pessimismo, ci suggerisce che solo guardando da quel” buco della serratura” che è il palcoscenico, dove la poesia riscatta la realtà, si possono capire le miserie e le sofferenze umane.

Un atto di fede assoluta nel teatro e soprattutto una denuncia della scarsa considerazione di cui il teatro stesso è oggetto da parte del potere costituito.