venerdì 16 gennaio 2009

ALBERTO BURRI 1915 - 1995


Alberto Burri nasce a Città di Castello (Perugia) il 12 marzo 1915. Nel 1940 si laurea in medicina. Come ufficiale medico è fatto prigioniero dagli alleati in Tunisia nel 1943 e viene inviato nel campo di Hereford, Texas. Qui comincia a dipingere. Rientrato in Italia nel 1946, decide di abbandonare la medicina per la pittura. In quello stesso anno si stabilisce a Roma. Fra il 1947 e il 1948 espone in alcune gallerie della capitale. Nel 1951 fonda insieme con Capogrossi, Colla e Ballocco il Gruppo Origine e si propone il superamento dell’accademismo astratto. Dal 1950 i soggetti preferiti dell’artista diventano i Sacchi, esposti nelle mostre personali che, dopo Roma, si tengono anche in varie città europee e americane. Dopo il 1957 Burri presenta i Legni, le Combustioni, i Ferri nelle mostre che si tengono in alcune città statunitensi. Fra gli anni Sessanta e i primi Settanta vengono organizzate alcune importanti mostre retrospettive a L’Aquila (1962), Darmstadt, Rotterdam (entrambi nel 1967), Torino (1971) e Parigi (1972). Nel 1962 l’artista espone le prime Plastiche alla Galleria Malbourough di Roma. Agli inizi degli anni Settanta si registra una progressiva rarefazione dei mezzi tecnici e formali verso soluzioni monumentali, dai Cretti (terre e vinavil) ai Cellotex (compressi per uso industriale); si impegna inoltre nell’attività grafica: Poems di Minsa Craig (1970), Saffo di Emilio Villa (1973). Per il teatro, una delle sue grandi passioni, realizza le scenografie per Spiritualis (La Scala di Milano, 1963), per November Steps (Opera di Roma, 1972) e Tristano e Isotta (Regio di Torino, 1975). Nuove retrospettive vengono organizzate ad Assisi (1975), Roma (1976), Lisbona, Madrid, Los Angeles, Millwaukee, New York (1977) e Napoli (1978). In anni recenti Burri esegue organismi ciclici, a struttura polifonica. Il primo è Il viaggio, presentato a Città di Castello nel 1979 e passato poi a Monaco di Baviera; Orti a Firenze nel 1980, Sestante a Venezia (1983) e Annottarsi (1985 e 1988). Nel 1981 a Città di Castello s’inaugura una raccolta permanente delle sue opere a palazzo Albizzini. Nel 1984, a palazzo Citterio a Milano viene organizzata una grande retrospettiva con oltre 160 pezzi. Negli anni Ottanta Burri continua a esporre le sue opere a New York, Parigi, Nizza e Roma. Dopo l’acquisizione da parte delle Fondazione palazzo Albizzini degli ex seccatoi del tabacco a Città di Castello, nel 1990 si apre il complesso museale interamente dedicato all’artista. L’anno seguente vengono organizzate due altre importanti retrospettive, a palazzo Pepoli a Bologna e al Castello di Rivoli. Nel 1993, presso gli ex seccatoi del tabacco, viene aperto al pubblico un nuovo ciclo, dal titolo Il Nero e l’Oro. Nello stesso anno viene realizzata per Faenza un’opera in ceramica che porta lo stesso titolo, dono dell’artista alla città. Nel dicembre 1994 viene celebrata la donazione Burri agli Uffizi, che comprende oltre al quadro Bianco e Nero tre serie di opere grafiche. Alberto Burri muore a Nizza il 13 febbraio 1995.

Nel 1940 si laureò in medicina all' Università di Perugia e prestò servizio militare come ufficiale medico fino al 1943, quando fu catturato dagli inglesi in Tunisia. Cominciò a dipingere mentre era prigioniero di guerra a Hereford, nel Texas.

Dopo il ritorno in Italia nel 1946, approfondì i suoi interessi artistici, stabilendosi a Roma con il cugino della madre, il musicista Annibale Bucchi. La prima personale di paesaggi espressionisti e nature morte fu allestita nel 1947 presso la Galleria La Margherita. L'anno seguente dopo una serie di esperimenti ispirati a Joan Mirò e a Paul Klee, cominciò a creare le prime astrazioni in un ciclo di pezzi materici. Fin dall'inizio Burri si dimostrò sensibile al fascino delle proprietà fisiche dei colori, sia artistici che industriali, creando immagini di raffinata eleganza ottenute con mezzi poveri. I "neri" furono realizzati variando la consistenza del colore, creando contrasti di superfici lucide e opache, ritmi di screpolature casuali e variazioni di texture nel pigmento incrostato. Nelle "muffe", additivi presenti nel pigmento producevano "fioriture" di colore simili a una coltura batterica. Burri ha inoltre introdotto il concetto del monocromo fin dal 1951 con la serie dei "catrami" nero pece. Tele e telai tradizionali furono usati in maniera anomala per creare i "gobbi" tridimensionali tra il 1950 e il 1952; Burri vi inseriva supporti in legno per dare all'opera rilievo scultoreo. Nello stesso tempo portava a termine una radicale reinvenzione del collage con i "sacchi", tele ruvide rappezzate e rammendate, montate su telaio, che spesso portavano stampigliate scritte che denotavano la provenienza originaria. Per quanto avessero un precedente nelle "pitture Merz" di Kurt Schwitters, le composizioni di Burri abbandonavano l'ironia data a favore di una dimensione più ampia e di una visione tragica, subordinando sempre le qualità della ruvidezza e della casualità al rigore della sottostante struttura compositiva.

Nel 1951 insieme a Ettore Colla, Mario Ballocco e Giuseppe capogrossi, Burri fondò il gruppo "Origine". Il loro manifesto esaltava le qualità elementari della pittura, rinunciando all'illusione spaziale e al colore descrittivo, anche se le tele di Burri furono inevitabilmente interpretate come immagini di paesaggi, processi biologici, "carne viva", come metafore di carname e decadenza. Burri godette dell'appoggio del critico J. J. Sweeney che lo incluse nella mostra "Young Europeans Painters" al Gughenheim Museum di New York e fu autore della prima monografia sull'artista, pubblicata dalla Galleria dell'Obelisco nel 1955.

L'artista aveva cominciato a esporre all'estero nel 1953, favorevolmente accolto dala critica; le mostre alla Frumkin Gallery di Chicago e alla Stable Gallery di New York hanno fatto di lui l'artista italiano più famoso del dopoguerra in America. Robert Rauschenberg dopo averne visitato lo studio per due volte nel 1953, iniziò a produrre i suoi primi "combine paintings".

Il tema della metamorfosi ha indotto Burri a bruciare, fondere e carbonizzare materiali nelle "combustioni" e nei "ferri" alla fine degli anni Cinquanta, poi nei "legni" e nelle "plastiche" all'inizio degli anni Sessanta. Dal 1975 nel ciclo dei "cellotex" tavolati composti di segatura e colla, ha ulteriormente approfondito la ricerca sulle forme drammatiche e sui colori acri dei materiali sintetici.

La combinazione di composizione formale e di processo casuale ha gettato un ponte tra le generazione dell'arte informale e quella dell'arte povera. L'opera di Burri, insieme con quella di Fontana, è stata la più originale e radicale degli anni Cinquanta in Italia, fornendo ispirazione a un'arte di pura astrazione, indipendente dall'immediatezza gestuale dell'informale europeo.

Una rivoluzione, quella di Burri, durata 50 anni, dalle prime tele figurative del 1945 fino alle sperimentazioni più avventurose conclusesi con la sua morte nel 1995.
Se i Sacchi sono il richiamo più immediato a Burri, è solo seguendo le continue evoluzioni della sua ricerca che si può cogliere in pieno la forza dirompente della sua innovazione stilistica. È partendo dalle prime astrazioni del 1947, ispirate a Mirò e a Klee, che l'artista comincia a scoprire le potenzialità rivoluzionarie della materia. Dal pigmento incrostato, con i suoi contrasti e le sue screpolature, alle Muffe, vere e proprie «fioriture» che animano la tela. Con l'uso del catrame darà vita a monocromi spessi, quasi tridimensionali, resi ancora più plastici dall'introduzioni dei Sacchi. Mentre tra il '50 e il '52, con i Gobbi, riuscirà a imprimere alla tela vero e proprio rilievo scultoreo, «forzandola» grazie a supporti inseriti al suo interno. Dopo la consacrazione americana del '53 (partecipò alla mostra «Younger European Painters» al Guggenheim di New York) sarà la volta delle Combustioni. Il ferro, il legno e negli anni Settanta la plastica, sottoposti a vere e proprie metamorfosi, daranno vita a opere quasi violente, di grande espressività. Ma sarà nel 1975, dopo la serie dei Cretti, che Burri troverà la sua dimensione ideale: i Cellotex, tavolati composti da segatura e colla, saranno il luogo perfetto per l'uso «drammatico» dei colori, per l'alternanza dei neri e degli ori. I Cellotex sono la conclusione e il vertice della ricerca di Burri, una ricerca capace di ispirare alcune delle più grandi rivoluzioni artistiche del nostro tempo: dai «combine paintings» di Rauschenberg ai «décollage» di Rotella, fino agli «imballaggi» di Christo e ai «fuochi» di Yves Klein.


L’opera, progettata nel 1975 per la Comunità esistenziale di Arcevia (Ancona), viene realizzata nel 1984 in occasione della Biennale di Venezia; attualmente è smontata, e verrà eretta e ricolorata in nero a Città di Castello in un grande progetto urbanistico che coinvolge la piazza antistante palazzo Albizzini. Si tratta di una grande struttura in ferro formata da cinque archi a sesto ribassati ricavati in levare dal sezionamento di un tronco di cono. Rimanda quindi all’immagine dell’archivolto che Burri aveva già usato in alcuni suoi quadri. Il teatro è un vivo interesse per Burri sia dal punto di vista costruttivo (Teatro Continuo per la Triennale di Milano del 1973) che scenografico (Tristano e Isotta di Richard Wagner al Teatro Regio di Torino nel 1975). Il teatro rappresenta difatti per lui una trasposizione di opera totale, che diviene il grande motivo dei cicli degli ultimi dieci anni (Orti, Firenze 1980; Sestante, Venezia 1983) che prevedono una serie di dipinti affiancati da una grande scultura. Tra le grandi sculture libere rientrano Grande Ferro K esposto nel 1982 in occasione della VII edizione di Documenta a Kassel, Grande Ferro Celle, del 1986, per la collezione Gori a Pistoia, Grande Ferro U del 1990 per Città di Castello.


Nel 1982 l'artista realizza Sestante, un grande ciclo di diciassette cellotex e una scultura in ferro, che viene esposto da maggio a settembre dell’anno seguente nello spazio degli ex Cantieri navali della Giudecca a Venezia. L’evocazione del vecchio strumento nautico, che serviva ai viaggiatori per stabilire la posizione di un punto dato rispetto all’orizzonte, è un omaggio al destino marittimo di Venezia. I dipinti sono l'ennesima sfida di Burri: nelle loro combinazioni le forme e i colori del "sestante" creano un ciclo inesauribile dove non c'è la minima ripetizione. All’interno dello stesso quadro, o nell’accostamento di uno all’altro, il caleidoscopio delle forme fa sì che strutture quadrate e curvilinee convivano, insieme ad ampie campiture cromatiche e fitti patterns visivi. Ogni tela ha quindi una propria compiutezza, e tuttavia è parte di un insieme, di un ordine precostituito dove ogni quattro quadri uno, di base più stretta, batte una cesura. Il colore non è comunque una novità nell'opera di Burri, che ne ha fatto uso fin dal 1948 in piccole tempere astratte che affiancavano i cicli più famosi.



Nel 1973 Burri inizia a realizzare grandi opere in ceramica cotta chiara contenente caolino e massa resinosa che, cuocendo, produce una crettatura su tutta la superficie. La realizzazione di queste opere, i Cretti appunto, richiede dei tempi lunghi e una grande attenzione nel fissare l’immagine. Il risultato finale infatti è ottenuto variando il dosaggio del collante acrovinilico, calibrando gli spessori della materia (creta, caolino, bianco di zinco) distesa sul supporto, controllando i tempi di asciugatura in modo da provocare variazioni dimensionali della trama e maggiore profondità della stessa. Nel 1976, Burri realizza un monumentale Grande Cretto Nero per il Franklin D. Murphy Sculpture Garden alla University of California Los Angeles. Il secondo Grande Cretto è quello realizzato per il Museo di Capodimonte a Napoli. Nel 1981 nasce il progetto di fare dell’antica Gibellina, distrutta da un terremoto, un unico e monumentale Cretto rettangolare, di circa 300x400 metri, che ricopre parte delle rovine, intervenendo concretamente nell'architettura del paesaggio. I lavori, iniziati nell'agosto 1985, sono terminati nel 1989. L'ultimo grande cretto in ceramica, Nero e Oro, è presentato al Museo internazionale della ceramica di Faenza nel 1993.

La collezione Burri (fondazione Albizzini) è sistemata in due sedi: a Palazzo Albizzini e nell'ex seccatoio del Tabacco. In questi due luoghi sono raccolte 257 opere donate dal maestro Alberto Burri che qui era nato nel 1915.

Recentemente la collezione ha avuto un importante riconoscimento normativo. Nei locali della Fondazione (che organizza spesso conferenze ed altre inziative) sono sistemate anche una biblioteca ed una fototeca.

La Fondazione Palazzo Albizzini "Collezione Burri" nasce nel 1978 per volontà dello stesso Alberto Burri che, con una prima donazione, la dotava di trentadue opere. E' composta da membri del Comune di Città di Castello, della Cassa di Risparmio di Città di Castello, dell'Associazione per la Tutela dei Monumenti dell'Alta Valle del Tevere e dell'Università "La Sapienza" di Roma. E' stata riconosciuta con decreto del Presidente della Giunta Regionale dell'Umbria e ha assunto la denominazione dall'edificio che la ospita.

La Collezione a Palazzo Albizzini è stata aperta al pubblico nel dicembre 1981 e comprende circa centotrenta opere dal 1948 al 1989, ordinate cronologicamente in venti sale. Insieme all'altra sede espositiva degli Ex Seccatoi del Tabacco inaugurata nel luglio 1990, che ospita 128 opere dal 1970 al 1993, è la raccolta più esaustiva sull'artista, con opere di altissima qualità selezionate dal pittore stesso.

Presso la Fondazione sono allestite: la biblioteca, ricca di materiale relativo all'arte moderna e contemporanea (consultabile su preventiva richiesta scritta da parte di studenti e studiosi), la fototeca, che raccoglie tutta la documentazione riguardante l'opera di Alberto Burri e l'archivio, che conserva un'esauriente bibliografia sull'artista.

La Fondazione organizza periodicamente conferenze di arte antica, moderna e contemporanea, convegni di aggiornamento sull'arte contemporanea in collaborazione con autorevoli istituzioni parallele, nazionali ed internazionali, collabora direttamente e indirettamente alla pubblicazione di cataloghi di mostre delle opere dell'artista, cura la pubblicazione dei cataloghi e dei dépliant della Collezione. Ha redatto il volume "Burri - Contributi al Catalogo Sistematico" (1990).

Secondo le linee espresse dallo Statuto, l'istituzione opera per gestire e conservare l'esposizione permanente delle opere dell'artista e "per promuovere gli studi sull'arte del Maestro e la sua collocazione nel tempo". A questo scopo l'istituzione gestisce l'apertura al pubblico delle due collezioni, organizza conferenze annuali sull'arte contemporanea in collaborazione con soggetti quali la Pinacoteca di Brera, la Galleria degli Uffizi, la Tate Gallery di Londra, l'Accademia di Francia, l'Università di Parigi, l'IRRSAE.Le attività della Fondazione prevedono la curatela e la partecipazione a mostre di importanza internazionale con prestiti di opere e rapporti di collaborazione con altre istituzioni nazionali e internazionali, quali: Castello di Rivoli, Centro per l'arte contemporanea L. Pecci di Prato, Fondazione Fontana di Milano, Museo d'Arte Moderna Museion di Bolzano, M.A.R.T. Museo d'Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, Palazzo delle Esposizioni di Roma, Biennale di Venezia, Städtische Galerie im Lenbachhaus di Monaco di Baviera, Palais des Beaux-Arts di Bruxelles, Centre Pompidou di Parigi, Istituti Italiani di Cultura all'estero, the Solomon R. Guggenheim Museum di New York, ecc.

Ex Seccatoi del Tabacco

Il complesso industriale è sorto fra la fine degli anni '50 e la metà degli anni '60 del Novecento per l'essiccazione del tabacco tropicale, prodotto di una coltivazione particolare che aveva visto la valle coprirsi per vastissime zone di garza bianca. Sotto si ricreavano le condizioni di clima caldo umido in cui le piante avevano modo di vegetare; una coltura originale per la quale erano sorte strutture architettoniche irripetibili, salvate da sicura distruzione dall'attuale destinazione. Ma lo stabilimento nella sua attività, già in passato, aveva avuto impieghi diversi. Nel 1966, a seguito dell'alluvione di Firenze, evento disastroso che comportò la perdita di documenti fondamentali per la storia della civiltà europea, la Fattoria Autonoma Tabacchi ebbe modo di dimostrare la sua attenzione verso i valori culturali non solo relativi alla città e al suo territorio, offrendo l'uso delle attrezzature tecniche e del personale per il prosciugamento dei preziosi libri danneggiati della Biblioteca Nazionale Centrale, del materiale cartaceo del Tribunale Civile e Penale e della società editoriale "La Nazione".Con l'assistenza di personale specializzato vennero salvate migliaia di volumi, operazione delicata resa possibile dalla lunga esperienza professionale delle maestranze, tanto più efficace perché portata a termine in tempi ragionevolmente brevi in rapporto alla enorme capienza dei seccatoi. Negli anni '70 la coltivazione, non più redditizia, venne cessata e con essa anche l'uso dei seccatoi. Risale al 1978 la concessione in uso gratuito all'artista, da parte della società proprietaria, di un capannone che nel 1979 fu aperto per la presentazione alla critica ed al pubblico del primo vasto ciclo pittorico denominato " Il Viaggio ".L'acquisizione di tutto il complesso da parte della Fondazione Palazzo Albizzini, resa possibile nel 1989, ha dato l'avvio al progetto generale di recupero ed adattamento museale. L'uso di immobili così singolari ha consentito l'esposizione di dipinti altrettanto singolari, anche nella dimensione, ulteriore donazione del pittore alla sua città, vivace luogo di incontro di antiche culture che ha prodotto nel tempo originali testimonianze di grande civiltà. Lo spazio espositivo, inaugurato nel luglio 1990, ospita 128 opere realizzate dal 1970 al 1993, comprendenti cicli pittorici e sculture monumentali, collocate anche sul prato all'esterno. I "cicli" nascono alla fine degli anni settanta : non più opere singole, ma un insieme di opere che costituiscono un'unità e, come tali, inscindibili. Tutti i cicli (Il Viaggio, Orsanmichele, Sestante, Rosso e Nero, Annottarsi, Non Ama il Nero ecc.) che si trovano ora esposti in modo definitivo presso gli Ex Seccatoi, erano inizialmente stati creati per spazi particolari, scelti fra tanti proposti. A partire dalla metà degli anni settanta si fanno sempre più rare le partecipazioni dell'artista a mostre collettive e per le personali egli prima individua gli spazi, poi crea le opere che di quello spazio hanno necessità.




Sitografia essenziale di riferimento

www.fondazioneburri.org

http://www.babelearte.it/

http://www.artinvest2000.com/

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