lunedì 22 dicembre 2008

TANTI AUGURI!

martedì 16 dicembre 2008

NATALE A VIA METASTASIO 15

La Galleria d’Arte Contemporanea Via Metastasio 15 presenta per il mese di dicembre una mostra piena di vivacità e colore, la personale dell’artista Luigi Recchi.

Immergersi nel linguaggio di Recchi è un’esperienza carica di emozione che sorprende per la forza e l’immediatezza di un codice fatto di semplicità espressiva ed energia cromatica.

L’artista espone in Galleria una serie di lavori che raccolgono testimonianze di una ricerca che spazia dalle opere liriche con l’omaggio a Tosca, agli Alfabeti fluttuanti, ai Solitari ai Fiori rossi.

I quadri di Luigi Recchi parlano un linguaggio semplice, istintivo che cattura con forza la mente e lo spirito dell’osservatore sia per l’energia dei colori vivi e brillanti, sia per le infinite suggestioni di simboli semplici e quotidiani. La vivacità prorompente del cuore rosso di Tosca, le trame gialle, verdi e azzurre che richiamano i tessuti dell’India di Brindisi blu, i piccoli segni geometrici, i numeri, i simboli, ricomposti in un tappeto di cifre indefinito della serie Solitario, sono solo alcuni esempi dell’opera del maestro la cui caratteristica costante è sicuramente la grande forza espressiva.

Vengono inoltre presentati il quadro Pensieri e un piccolo esemplare di Alfabeti fluttuanti, suggerimenti indefiniti di un mondo incantato.

Via Metastasio 15 dedica inoltre proprio nel mese di dicembre, uno spazio particolare all’artigianato e alle arti applicate.

In Galleria sono sempre presenti i gioielli di Bianca Alfonsi, orafa da quattro generazioni figlia del maestro Germano, i libri d’arte e archeologia della famosa casa editrice l’ERMA di Bretschneider, le creme a base naturale della linea Aqvadei oltre al nuovissimo sapone d’oro e al profumo via metastasio 15 a cui si aggiungono creazioni in ceramica e particolari Cesti d’Autore interamente realizzati a mano.

Un proposta nuova per regalare l’arte a Natale in tutte le sue forme d’espressione: dalla pittura, alla scultura, all’artigianato… all’arte del gusto e della bellezza.

Giorgia Simoncelli

venerdì 12 dicembre 2008

AS IS Arte Israeliana Contemporanea

Nell’ambito delle iniziative programmate in occasione del 60° Anniversario dello Stato di Israele, dal 16 dicembre 2008 al 31 gennaio 2009 presso il Complesso del Vittoriano sarà ospitata la mostra “As Is: Arte Israeliana Contemporanea”, un collage delle forme artistiche contemporanee israeliane attraverso 57 opere realizzate con le tecniche più diverse – pittura, scultura, fotografia, video e performance – realizzate da 20 artisti. L’esposizione, promossa dall’Associazione Culturale ISRAELE60 e a cura di Ruth Cats, racconta la quotidianità di Israele e, allo stesso tempo, la sua complessità e peculiarità culturale evidenziando il fondamentale dialogo tra l’arte e alcune tematiche sociali, culturali e politiche: la rinascita ebraica dopo l’olocausto, gli aspetti religiosi e secolari della vita, la guerra, il terrorismo, le tradizioni e il sentimento patriottico.

Il 2008 dunque, anno in cui si celebra il 60° Anniversario dello Stato di Israele, invoca un’analisi e una ricerca del significato essenziale di ciò che gli israeliani riconoscono come proprio, come se facesse parte del loro dna. Quali sono le caratteristiche che costituiscono una “persona israeliana”, l’“identità israeliana”, il “paesaggio israeliano”, i “tratti israeliani”? “As Is: Arte Israeliana Contemporanea” tenta di decifrare questo codice mettendo in luce quegli aspetti che fanno trapelare con maggiore evidenza gli aspetti unici e caratteristici della cultura e del modo di vita israeliani.

martedì 2 dicembre 2008

DE CHIRICO E IL MUSEO

A trent’anni dalla morte Roma ricorda De Chirico (Volos, 1888 – Roma, 1978) in una retrospettiva che lo vuole celebrare nel suo rapporto con l’arte del passato, un museo immaginario, come il titolo stesso preannuncia, di tutte le opere che l’artista aveva voluto tenere con sé. Cento opere tra disegni e dipinti ed un’unica grande scultura, un itinerario suddiviso in sezioni tematiche.

Mitologia e archeologia
Il rapporto con il mondo antico, soprattutto greco, è molto radicato nell’opera di De Chirico. Egli, infatti, originario di Vòlos, capitale della Tessaglia, sente viva dentro di sé la profonda identità classica, confermata peraltro nelle sue opere. Recuperare il mito è per lui riscoprirne l’essenza e creare nuovi miti. I personaggi mitologici ci trasportano in una dimensione “metafisica”. Il mito decontestualizzato si carica di significati nuovi. Le figure mitologiche, testimonianza dell’irrazionale e della contingenza, si manifestano nell’opera d’arte come trasfigurazioni create dal genio artistico. Nei quadri di De Chirico i miti sono rappresentati nelle loro forme attribuite dalla tradizione, nella loro staticità iconografica, che però si arricchisce di dinamismi inconsueti, tesi a rappresentare il mito come un elemento comune del quotidiano. Come nel Centauro con amorino (1968-olio su tela), nel quale De Chirico fa rivivere con grande dinamismo la manifestazione della figura mitologica.

Sezione Neometafisica
Si riferisce alla produzione degli anni sessanta e settanta che riprende i temi della metafisica precedentemente affrontati. Ripetizione di temi e soggetti già rappresentati. Legandosi con il tema dell’antico(eterno?) ritorno di Nietzsche. Stando alla teoria del filosofo, infatti, “in un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte”. Temi passati, dunque, che però risultano sempre originali, dipinti secondo un nuovo “studio del disegno”. Così, nel bockliniano Ritorno al castello (1969-olio su tela), De Chirico risalta la figura del cavaliere con un gioco di contrasti sconvolgente, regalando allo spettatore un disegno che, incuriosisce, coinvolge, affascina.

Copie da Antichi Maestri
A differenza delle avanguardie De Chirico guarda al passato e ritiene che il nuovo può essere espresso con un’icona antica. Preannuncia un ritorno al mestiere, alla bella pittura che permette di entrare in senso evocativo nelle cose. La copia e l’imitazione sono la grammatica della pittura: copiare significa studiare un linguaggio o una forma. Dalla copia perfetta passa al d’aprés alla citazione occulta. Nei numerosi dialoghi con il passato, con l’originale illustre, troviamo dipinti eseguiti alla maniera dei grandi artisti, cercando di rapire con fugace intuizione l’arte e la tecnica del disegno. Tentando di catturare l’essenza del modello con una imitazione intesa come vera e propria esperienza del museo. Attraverso l’arte dei grandi maestri del Rinascimento, recuperare la limpidezza del colore e la tecnica per la quale i volumi acquistano precisione e luminosità. Raffaello dunque, Tiziano e Michelangelo, del quale si sforza di eguagliare la tecnica con la Copia del Tondo Doni (1975-olio su tela-abbozzo).

La Grande Pittura
Verso gli anni Trenta De Chirico evolve verso il classicismo di Renoir con l’esaltazione dei gialli e dei rossi. Prevale in questa sezione l’interesse sia per la pittura classica che per il teatro negli autoritratti in costume. La tecnica del maestro in questi anni cambia, caratterizzandosi di pennellate ondulate e veloci. Anche lo studio del colore muta attraverso l’acquisizione di nuove, sperimentali tecniche, come quella dell’olio emplastico, una composizione di elementi emulsionanti nella quale il colore è solo il pigmento colorante. L’artista sembra abbandonare momentaneamente i nitidi tratti rinascimentali, preferendo piuttosto la tecnica fiamminga, attraverso al quale i colori acquistano solidità, risaltando per la loro matericità. I toni diventano densi, brillanti, come nell’ Autoritratto in costume del Seicento ( 1947-olio su tela).

Sezione Rubens
Qualità della materia pittorica, potenza del segno e forte impatto visivo fanno di Rubens il tema prediletto di de Chirico dopo gli anni trenta. Dopo un breve viaggio in America, De Chirico sceglie Rubens e la pittura del Seicento come nuovo punto di riferimento. Rubens come studio, modello e citazione. Il bozzetto acquista parità di importanza rispetto all’opera d’arte: un quadro altro non è che la copia accurata di un disegno, con l’ausilio del colore. Il valore di un artista non consiste in quello che fa ma in come lo fa. E’ l’inizio del periodo cosiddetto barocco, in cui De Chirico esprime apertamente la sua contrarietà all’arte Contemporanea, prediligendo un perfezionamento della ricerca tecnica e stilistica attraverso la pittura barocca.

Sezione Disegni di Studio
Il disegno e l’imitazione della pittura antica ci permettono di penetrare il segreto della pittura. Anche i titoli richiamano l’antico o i maestri del passato. In altri casi il riferimento è meno esplicito ma comunque presente. Alcuni sono disegni preparatori, altri opere finite. In questa sezione, studi e schizzi veloci tradiscono l’importanza che De Chirico attribuiva al disegno, inteso come mestiere antico e dimenticato. Un ritorno, ancora una volta, al passato, ma in chiave tecnica e quasi accademica. Gli studi sono in definitiva le sincopi dell’opera, le pratiche che permettono di penetrare il segreto più intimo della tecnica pittorica.
Una mostra dedicata a De Chirico, il pictor optimus del linguaggio metafisico, non poteva certamente articolarsi in qualità di mero allestimento storico o antologico. Essa, organizzata in sezioni, sembra piuttosto percorrere il complesso iter artistico del pittore, il quale dà forma al suo linguaggio attraverso una grammatica ricca ed ispirata. Il rapporto tra De Chirico e il museo è stretto, intriso di intuizione e caratterizzato dalla capacità di interpretare l’opera non come semplice immagine pittorica, ma come principio di una nuova visione rivelatrice. De Chirico è il pittore dei misteri, dell’antico, del mito; egli è il massimo cantore di un mondo, quello metafisico, affascinante, inquietante, straordinario.
Angela Angelillo

lunedì 1 dicembre 2008

LAWRENCE WEINER

Gagosian Gallery è lieta di presentare una mostra di Lawrence Weiner, la prima mostra monografica dell’artista a Roma in oltre dieci anni e la prima con la galleria.

Pioneristico artista concettuale degli anni ’60, Weiner è stato tra i primi a smaterializzare l’oggetto artistico in puro linguaggio. Attraverso caratteri di stampa eleganti ma funzionali e con monocromi d’effetto, siano essi stencil, dipinti, stampati o installati a rilievo, l’artista compone proposizioni scultoree in testi che descrivono processi, materia, relazioni. Traducendo il processo artistico in parole, Weiner comunica il senso di ogni opera senza definire nessuna delle sue qualità fisiche, rendendo così l‘opera universalmente oggettiva, accessibile, fruibile per lo spettatore. Rivolta alla circolazione di idee e significati, una singola affermazione può essere illimitatamente adattata ad una miriade di forme, dalla pittura alla pietra fino al testo di una canzone.

A Roma Weiner sviluppa un’installazione site specific per lo spazio ovale della galleria che comprende due installazioni murali di grande formato, una serie di sette disegni su carta ed un’opera a tecnica mista, anch’essa su carta. Il progetto si ispira alla storia mitologica di Roma, passata e presente, con riferimenti ai sette colli su cui e’ stata costruita la citta’ ed alla famosa tradizione romana di esprimere un desiderio lanciando una moneta nella Fontana di Trevi. Weiner utilizza prevalentemente la lingua inglese, ma qui include frasi latine divenute parte di un gergo condiviso, come il titolo della mostra “Quid Pro Quo” che indica uno scambio più o meno equo di beni o servizi.

Lawrence Weiner è nato nel Bronx nel 1942. Oltre ai primi film e video sperimentali, Weiner ha realizzato libri d’artista ed opere effimere, nonchè numerosi progetti su larga scala di arte pubblica per le città di Vancouver, Vienna, Eindhoven, New York. Tra le importanti mostre recentemente realizzate si contano quelle del Deutsche Guggenheim, Berlino (2000), del Museo Tamayo Arte Contemporaneo, Città del Messico (2004), della Tate Gallery, Londra (2006). Nel 2007 il Whitney Museum, in collaborazione con il MOCA di Los Angeles, ha organizzato la prima grande retrospettiva del lavoro di Weiner attualmente in mostra al K21 Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen Museum, Dusseldorf, fino a gennaio 2009. L’artista vive e lavora tra New York ed Amsterdam.

La mostra sara' accompagnata da un catalogo con un saggio di Kira van Lil.

lunedì 24 novembre 2008

ESSERE DONNA


La donna, il suo mondo, il suo quotidiano rapporto con la vita reso dalla sensibilità di tre artisti, Fabiana Roscioli, Luca Curci e Chicco Margaroli.

a cura di Bianca Alfonsi, Alessia Montani, Giorgia Simoncelli

Il canone del bello è ormai “la regola” del vivere contemporaneo. Un’idea, un mito ricercato ogni giorno da milioni di donne.

Essere Donna è una mostra che analizza il tema della bellezza nella sua essenza più umana e quotidiana.

Gesti e abitudini resi ormai automatici per ogni donna vengono catturati e esaminati dal lavoro e dalla sensibilità di tre giovani artisti.

Chicco Margaroli presenta Quotidiano in crema, tubo di crema in vescica stabilizzata che assurge a simbolo della quotidiana ricerca di giovinezza e bellezza operata dalle donne.

Nel testo che accompagna il lavoro l’artista scrive:

Lo sforzo alla bellezza si deve vedere. Ci si adopera perché sia riconosciuto.
Ci promettono che un gesto quotidiano prometterà agli occhi di altri il meglio del nostro bello.
E’ gesto effettivamente quotidiano sottoporsi al giudizio altrui.
Ti vedo bene –
La crema più efficace delle creme, fatta di umanità, per spalmarsi da subito il giudizio degli altri sulla nostra pelle.
Ti vedo bene –
Ti vedo come è richiesto vederti, dagli altri:
sempre bene
.

Fabiana Roscioli e Luca Curci presentano una serie di fotografie scattate per la rivista Next Exit sul tema Arte, Moda e Design che rappresentano l’universalità della bellezza femminile. Tutte le razze, tutte le età con tutti i sentimenti del loro vivere.

Da tempo, soggetto preponderante nel lavoro di Fabiana Roscioli è il corpo. Negli anni 1990-2000 l’artista ha lavorato esprimendosi con la pittura materica per passare poi alla fotografia. All’inizio del suo percorso si era interessata alla bellezza arcaica femminile e agli istinti primordiali, successivamente ha affrontato la ricerca del benessere spirituale e fisico, filtrando il rapporto con il mondo esterno attraverso il proprio corpo e quelli altrui. Nel suo lavoro ha saputo connettere la fisicità e l’estetica in un profondo legame tra eros, senso della vita, desiderio ed ossessione, come ha scritto di lei Gianluca Marziani nel saggio „Quattro elementi attorno al corpo”, in un catalogo del 2004.

Una mostra dedicata alla donna, per riflettere sul tema del bello tramite i gesti e gli oggetti del suo quotidiano vivere.

Chicco Margaroli, nasce ad Aosta nel 1962, si diploma all’Accademia di Belle Arti di Torino nel 1987.

Nel 1990 la sua prima personale ad Aosta, a cui si susseguono numerose collettive e personali nazionali ed internazionali a Torino, Trieste, Milano, Biella, Venezia, Roma, Spoleto, Ginevra, Parigi.

Il tema del rinnovo è la chiave del lavoro dell’artista che, partendo dagli sfridi delle potature inseriti in quadri iper – reali, è poi arrivata nel 2000 alla scelta del materiale organico stabilizzato in un costante tributo alla natura che diventa metafora di trasformazione e rinnovo interiore.

Fabiana Roscioli vive e lavora a Roma. Dopo essersi diplomata al Liceo Artistico, nel 1983 ha seguito il corso di Storia dell’Arte all’Università La Sapienza di Roma. Nel biennio 1985 – 86 frequenta la Scuola di scenografia all’Accademia di Belle Arti di Roma e lavora come disegnatrice presso lo Studio di Architettura Fiorentino. Nel 1986 – 87 studia pittura figurativa con Vittorio Polidori e realizza un trompe l’oeil nel ristorante dell’Hotel Royal Santina a Roma.

Nel 1988 – 89 segue il corso di decorazione all’Accademia del Superfluo; nel 1990 – 91 frequenta lo studio di design dell’architetto Jeremy King e progetta le decorazioni del Teatro dell’Opera di Roma.

Numerose le mostre personali e collettive in Italia e all’estero.

Settembre 2006, Lituania;
Agosto 2006, Paducach, Kentucky (USA);
Aprile 2006, Personale, Parigi, Gallerie Mamia Bretesché (Francia);
Partecipazione al Digital and Video Art, Novosibisk State Art Museum, (Russia);
Partecipazione al DIVA, New York (USA);
Partecipazione a “Aereal Vision”, Gallerie Marta Traba, San Paolo (Brasile);
Partecipazione al BACI 06, CCCB, Barcellona (Spagna);
Esposizione al Museo Nazionale di Berlino (Germania).

Luca Curci nasce a Bari l'8 Dicembre 1975. Dopo aver conseguito il diploma di Liceo Scientifico si iscrive alla facoltà di Architettura di Bari; contemporaneamente approfondisce le proprie conoscenze in arte, filosofia, letteratura, scienza. La sua innata curiosità lo porta naturalmente a confrontarsi con le nuove tecnologiche che Curci applica al campo che più gli preme: l'arte in tutte le sue forme ed espressioni. Dalla pittura alla scultura, dall'arte digitale alla videoarte. Oggi Luca Curci, sebbene giovanissimo, ha già alle spalle numerose esposizioni personali e collettive di notevole impatto scenografico a Bari, Firenze, Roma e Milano, Vienna, Madrid, Londra, Parigi, New York, nonché alcune collaborazioni con artisti di spicco nel panorama artistico internazionale. La sua ricerca verte sullo studio e l'interpretazione dell'antica scienza denominata fisionomica come pretesto per un'attenta analisi introspettiva alla scoperta delle mille sfaccettature della psiche umana nonché strumento gnoseologico atto alla comprensione profonda del quotidiano e della mutevole realtà in cui l'uomo vive ed opera.

Architetto, videomaker, art director del gruppo Internazionale di ArtExpo, Luca Curci vive e lavora a Bari.

giorgia simoncelli

mercoledì 12 novembre 2008

Il volto dell’altro


LipanjePuntin artecontemporanea - Roma ha il piacere di presentare Il volto dell’altro, una mostra personale di Ugo Giletta (1957, San Firmino di Revello), a cura di Lóránd Hegyi.

Dopo aver lavorato per diversi anni sulla rappresentazione del corpo umano, dipingendo spesso corpi sdraiati o carponi, ora la ricerca di Ugo Giletta lo porta a concentrarsi sul volto umano. La serie di opere presentate a Roma sono acquarelli su tela o su carta di varie dimensioni. Questi soggetti, come sostiene l’artista stesso, non sono né maschera né ritratto, sono simbolo e rappresentazione. Egli rifiuta qualsiasi riferimento aneddotico, ogni rimando letterario al tempo e al luogo, ad una concreta spazialità, a qualcosa di simbolico o culturalmente o storicamente identificabile. Sono teste e volti soli e isolati in uno spazio vuoto plasticamente indefinito, metaforicamente indefinibile e non contestualizzabile.


Le teste e i volti sono dipinti con il minimo del concretismo plastico. Non sono ritratti, tanto meno rappresentazioni di una qualche identificabile persona. Sono impersonali ed estranianti, tangibili e muti. La loro enigmatica estraneità non si lascia catalogare o classificare in qualsiasi o qualsivoglia sistema. Sono semplicemente là, nella loro reale oggettività, senza spiegazione sulla propria appartenenza, sulla propria provenienza, sulla propria storia o sul proprio essere. Come la mancanza di tratti caratteristici personali e fisici della figura, così pure l’assenza di una conosciuta composizione cromatica della loro fisicità li estranea da qualsiasi narratività. Loro stanno là, senza una storia propria, senza pathos e senza patria.

I volti di Ugo Giletta sono teste spesso senza orecchie e chiome, solo con cinque macchie o scuri fori per occhi, narici e bocca: cinque spazi elementari, a definire umbratilmente un ovale immortale.

In occasione del finissage della mostra sarà presentato nella collana LipanjePuntin artecontemporanea il volume Ugo Giletta: Il volto dell’altro con i contributi critici di Lóránd Hegyi, Nico Orengo e Francesco Tomatis.

In collaborazione con a.c. viadimontoro 10 e artport 1
LIPANJEPUNTIN artecontemporanea
via di Montoro 10 – 00186 Roma
Tel. + 39 06 68307780 Fax + 39 06 68216758
http://www.lipanjepuntin.com/
roma@lipuarte.it
Orario di galleria: da martedì a sabato 14.00 – 20.00 o su appuntamento

lunedì 10 novembre 2008

CREARE

Oro, opali, perle, coralli in una raccolta di opere d’arte uniche degli artisti Sergio e Stefano Spivach e di Anna Palmidoro.

La Galleria d’Arte Via Metastasio 15 propone per il mese di novembre una serie di appuntamenti dedicati all’artigianato e alle arti applicate.

Da Giovedì 6 a Sabato 22 Dicembre in esposizione la collezione AQA contemporary opals creazioni in opale ad opera di Sergio e Stefano Spivach.

Collane, ad opera di Anna Palmidoro

Sergio e Stefano Spivach, ideatori del progetto AQA contemporary opals, sono tagliatori di opali dal 1990 nell'azienda Spivach & Spivach Opals.

AQA contemporary opals ridà valore al tempo, attraverso il rispetto per il lavoro manuale e per l'idea che permette all'uomo di trasformare la materia in gioiello. Gli opali vengono pensati come soggetti/strutture per un gioiello nel quale viene inserito poi il metallo, veicolo grazie al quale AQA si arricchisce delle capacità e dell'arte di chi lo plasma. Il grezzo d'opale viene selezionato per lo scopo finale, quello cioè di suscitare emozioni. L'interpretazione dell'opale viene fatta secondo delle linee guida presenti nella pietra stessa dove il soggetto è in continua evoluzione secondo le forme che emergono durante il percorso creativo.

Alcuni opali richiamano la pietra piegata, altri echeggiano emozioni colte nel tempo, altri ancora sorprendono per la loro “liquidità” dove l'idea di partenza può essere modificata e riproposta. Sergio e Stefano Spivach partecipano come vincitori del premio della giuria alla Fiera annuale KARA Les journées des Joailliers Créateurs 2008 di Parigi presso il Carroussel du Louvre dal 21 al 23 novembre 2008.

Anna Palmidoro presenta una serie di collane scultura dalle monumentali dimensioni, “memorie infilate con passione culturale” come sottolinea Bianca Maria Spironello fotografa, pittrice e poetessa che ha presentato la mostra della scultrice Palmidoro presso la Galleria Comunale di Spoleto a maggio del 2008 con la mostra adornare.

Anna Palmidoro trasferisce la sua capacità scultorea nella ricerca delle forme e delle proporzioni ad una serie di collane che abbracciano il corpo come abiti tintinnanti dalle molteplici sfumature cromatiche. Perle, conchiglie e antichi coralli si alternano ad inserti in oro e in argento pazientemente infilati su metri di filo per comporre collane che riecheggiano atmosfere fiabesche e incantate.

giorgia simoncelli
mostra visitata il 6 novembre 2008

Creare via metastasio 15 art Gallery & Store via metastasio, 15 00186 Roma
orari: martedì/sabato dalle 10.30 alle 19.00 lunedì dalle 15.30 alle 19.00
tel: +39 06 6871380 fax:+39 06 6871380
inaugurazione: giovedì 6 novembre ore 18.00
periodo: 6 novembre - 6 dicembre 2008
info@viametastasio15.it http://www.viametastasio15.it/

giovedì 6 novembre 2008

PIERO GUCCIONE

PIERO GUCCIONE

Roma – Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea
Dal 4 Dicembre 2008 al 25 Gennaio 2009
Conferenza stampa 4 dicembre 2008 ore 12.00
Inaugurazione 4 dicembre 2008 ore 18.30

La Galleria nazionale d’arte moderna di Roma presenta, dal 4 dicembre 2008 al 25 gennaio 2009, la mostra “Piero Guccione”. Nonostante l’attenzione di scrittori quali Alberto Moravia, Giorgio Soavi, Tahar Ben Jelloun, che in gallerie private della Capitale (l'esordio di Guccione ebbe luogo proprio a Roma nel 1960) hanno accolto la sua opera, questa è la prima volta che la Roma ufficiale dedica al maestro siciliano una grande esposizione antologica, dove l’arco della sua produzione viene ripercorso attraverso più di cento opere, provenienti da collezioni pubbliche e private. La mostra, organizzata dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, dalla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea e dal Cigno GG Edizioni, propone nel nucleo centrale i lavori esposti da luglio a settembre 2008 a Palazzo Reale di Milano, cui si aggiungono numerose opere che documentano i vari aspetti della poliedrica attività dell’artista.

Le opere esposte alla GNAM di Roma, realizzate con varie tecniche, dall’olio su tela al pastello su carta e alle tecniche miste, dimostrano la continua originalità dell’arte di Piero Guccione. Considerato uno dei principali esponenti della figurazione contemporanea, nel corso degli anni ha continuato lucidamente la propria ricerca che ha come punto di partenza e d’arrivo la natura, sempre più minacciata dalla volgarità e dal consumismo della civiltà industriale.

In mostra a Roma vi sono opere che illustrano i vari momenti della singolare esperienza artistica di Piero Guccione. Dalle prime tele che ritraggono oggetti e contesti della vita quotidiana, come lo Studio per televisore, Giardino sul muro giallo, Balcone, tutti del 1965, a Luna d’agosto (2005), Linea azzurra (2006), Luce meridiana (2007) e Cielo e mare (2008). Vi sono i pastelli su carta del Dopo il vento d’Occidente e quelli Per Tristano e Isotta. Non mancano i D’après che Maurizio Calvesi definisce “gli esempi forse più emozionanti della capacità di un artista contemporaneo di far proprie immagini di sommi maestri di ogni tempo, senza violentarle, né snaturarle; ma senza perdere alcun tratto della propria identità espressiva…”.

La mostra si snoda attraverso il racconto degli scrittori, editori, poeti, collezionisti, artisti che hanno scritto di lui, da Leonardo Sciascia a Dino Buzzati, da Renato Guttuso a Gesualdo Bufalino. Delle immagini immergono il visitatore nell’universo di Guccione, dove appunto si può confrontare il suo mondo con le sue opere.

La mostra, che ha come commissario interno della Galleria nazionale d’arte moderna la Dott.ssa Carla Michelli, è divisa in varie sezioni; straordinaria è quella sul lavoro grafico, essendo Guccione l’autore delle illustrazioni per il primo - e unico - volume di Galileo Galilei stampato con la prefazione di un pontefice: Giovanni Paolo II.

Il catalogo della mostra, edito dalla casa editrice Il Cigno GG Edizioni, contiene i testi critici di Vittorio Sgarbi e Maurizio Calvesi, insieme a testimonianze sull’opera di Guccione di numerosi protagonisti del mondo artistico e culturale contemporaneo.

Napoli 1836

Museo Mario Praz
Galleria nazionale d’arte moderna

Napoli 1836
Le stanze della regina madre


Inaugurazione giovedì 20 novembre 2008 – ore 18.30
Apertura al pubblico dal 21 novembre 2008 al 29 marzo 2009

Nella collezione della casa museo di Mario Praz è esposto un dipinto di Vincenzo Abbati (Napoli 1803-1866) che rappresenta Maria Isabella di Borbone, Infanta di Spagna, vedova di Francesco I Re delle due Sicilie e madre di Ferdinando II. Il dipinto la mostra in uno dei salotti della sua Villa a Capodimonte, Villa Gallo poi Del Balzo, nell’anno 1836. Rimasta vedova nel 1830 Isabella ha acquistato nel 1831 questa Villa e ne ha affidato il completamento all’architetto Antonio Niccolini, che già nel 1809 vi aveva eseguito dei lavori per il Duca del Gallo. Il salotto, in cui viene ritratta, è arredato con eleganti mobili di produzione napoletana in acero filettato di amaranto, un gran tappeto Aubusson con le cifre della regina, ed alle pareti molti dipinti, vedute e paesaggi, stampe e miniature. Tre anni dopo, nel 1839, Isabella convolerà a nuove nozze con il Conte Francesco Del Balzo, e questi a sua volta rimasto vedovo nel 1848 dell’ex regina, maggiore di lui di 14 anni, contrarrà a sua volta un secondo matrimonio. Presso le famiglie dei discendenti del Del Balzo è stato possibile recuperare la maggior parte degli arredi raffigurati nel dipinto, che elencati nell’inventario allegato al testamento di Francesco del Balzo del 1857, ne hanno seguito le vicende ereditarie .

Tra questi arredi spicca il bel tavolo col piano intarsiato in pietre laviche di Giovan Battista Calì, della celebre famiglia di artisti catanesi, già esposto alla grande Mostra dell’Ottocento napoletano, nel 1997, la veduta della Vicaria di Gonsalvo Carelli acquistata nel 1833 dalla stessa Isabella alla mostra biennale presso il Real Museo Borbonico, e due paesaggi raffiguranti la Villa all’epoca in cui era abitata dalla regina.

La possibilità di accostare al dipinto dell’Abbati gran parte dei mobili e degli arredi in esso riprodotto, grazie alla disponibilità dei discendenti del Del Balzo, ci consente di ricostruire nella saletta espositiva del museo Praz uno di quegli ambienti di gusto tipicamente prazziano dove il limite tra la realtà e la sua riproduzione sembra annullarsi in un gioco di rimandi speculari, analogo a quello istituito dallo stesso Praz in molti degli ambienti della sua stessa casa, con i dipinti e gli oggetti in essa conservati.

Isabella Infanta di Spagna fu a sua volta lei stessa pittrice, la troviamo inscritta come Accademica d’Onore nel 1802 negli Elenchi della Reale Accademia di San Ferdinando a Madrid, ed alcune delle sue piacevolissime vedute verranno esposte in questa occasione, provenienti non solo dagli eredi Del Balzo ma anche dalle Collezioni delle Dimore Reali napoletane.

La mostra, che gode del Patrocinio della Reale Accademia di Spagna a Roma, è sponsorizzata dai Bettoja Hotels, Progress Assicurazioni, Arteria Trasporti d’Arte e SOLUM S.c.n. di Roberto Lucifero. Il 20 novembre, in occasione dell’inaugurazione verranno offerti Aglianico dell’Azienda Agricola di Marzo di Tufo e cioccolatini Gay Odin.

MUSEO MARIO PRAZ
Via Zanardelli 1, 00196 Roma
Tel. e fax: 06.6861089
Orario: da martedì a domenica 9.00 – 13.00 /
14:30 – 18:30; lunedì 14.30 – 18.30
e-mail: museopraz@museopraz.191.it

mercoledì 29 ottobre 2008

PRIMO PIANO

FRANCESCA LEONE a PALAZZO VENEZIA
“Primo Piano”

Inaugurazione giovedì 4 dicembre 2008 - Roma


Si inaugura a Roma giovedì 4 dicembre alle 19, nell’elegante Sala del Refettorio di Palazzo Venezia, Primo Piano, la mostra personale di Francesca Leone curata dal Prof. Claudio Strinati, Soprintendente al Polo Museale Romano e testo critico di Lorenzo Canova.
L’artista, una delle pittrici più interessanti del panorama italiano, invitata a marzo del 2009 ad esporre a Napoli nella suggestiva cornice del Castel dell’Ovo, a giugno nel prestigiosissimo MMOMA (Museum of Modern Art di Mosca), per giungere in autunno alla Galleria Valentina Moncada di Roma, è esponente della rinascita della pittura figurativa, fortemente ancorata al mondo contemporaneo.
Cresciuta in una famiglia di artisti, Francesca Leone inizia il suo percorso pittorico avendo respirato un’atmosfera culturale e familiare molto intensa, vivendo da vicino la realizzazione di importanti capolavori cinematografici del padre Sergio.
Il titolo della mostra evoca una doppia lettura, sia in senso propriamente artistico che esistenziale. Lo sguardo della pittrice, infatti, si focalizza non solo sul volto e sul primo piano in genere, inteso come fonte ispiratrice e destinatario della sua sensibilità stilistica, ma anche sulla realtà estremamente veloce e sfuggente di oggi, di cui cerca di coglierne l’istante e fissarlo in modo indelebile. L’esposizione prende spunto dal mondo contemporaneo e si sviluppa fondamentalmente sui grandi ritratti delle personalità che hanno contribuito in modo determinante nel cercare di portare armonia e pace nel mondo: Martin Luther King, Mahatma Gandhi, A. San Suu K. Ispirazione che si riversa anche sulle figure mistiche dei monaci tibetani. Tema importante quest’ultimo, richiamato in diverse suggestive tele. A tal proposito scrive Francesco Scorzone in una bella recensione, dopo la personale di maggio scorso al Loggiato di San Bartolomeo a Palermo: “I ritratti di Martin Luther King, Mahatma Gandhi, A.San Suu K. e il gruppo di monaci tibetani, intenti nella preghiera, hanno in comune quella capacità della rivolta silenziosa senza il ricorso alla violenza, l’amore per il prossimo. Sono i profeti armati, ora dalla parola ora dal silenzio e sono coloro dai quali bisognerebbe prendere esempio per tentare un qualsiasi cambiamento della società”.
Importanti le valutazioni critiche di Claudio Strinati curatore della mostra a Palazzo Venezia: Il “primo piano” di cui parla, già nel titolo, la mostra attuale, è da un lato il primo piano delle singole figure ma anche il primo piano della nostra attenzione che l’ artista vuole coinvolgere con tutto il peso della materia pittorica, viva e palpitante anche se delicatamente lavorata e calata sulla tela con una leggerezza che non contrasta mai con la efficacissima energia della formulazione finale dell’ immagine”.
Lorenzo Canova, infine, autore del testo critico, riflettendo ancora sulle tematiche care all’artista aggiunge: “particolarmente importante la scelta dell’artista di costruire il suo “programma iconografico” intorno a temi così urgenti e significativi che però, se trattati in modo inopportuno rischierebbero di scadere in un mediocre appello a generici, presunti buoni sentimenti collettivi. Francesca Leone evita invece questo rischio attraverso una visione sintetica dove l’angoscia e la protesta sono rafforzate dalla scelta di non rappresentare direttamente la violenza e il sopruso ma di affidare alle figure dei monaci il compito di arricchire il messaggio simbolico dell’installazione insieme ai volti di coloro che hanno voluto resistere lottando per la pace e i diritti umani…”.


FRANCESCA LEONE – “PRIMO PIANO”
PALAZZO VENEZIA – Sala del Refettorio - Via del Plebiscito 118
Dal 5 dicembre 2008 al 6 gennaio 2009 - Ingresso gratuito
L’orario della mostra è dalle 9 alle 19. Chiuso il lunedì.
Ufficio Stampa di Francesca Leone - 06.3236078 – 335.7444219 – info@equa.it
Organizzazione a cura di Gianpaolo Brun – 331.2647424

mercoledì 8 ottobre 2008

IL MAESTRO THEOCHARAKIS PER LA PRIMA VOLTA IN ITALIA

OLTRE 50 ANNI DI OPERE ESPOSTE A ROMA


Inaugura venerdì 21 novembre alle 19 la retrospettiva di Basil Theocharakis PITTURA: 1952 – 2008. Negli spazi espositivi del prestigioso Palazzo Venezia di Roma verranno presentate, per la prima volta in Italia, circa 200 opere del grande maestro greco, rappresentative del suo percorso artistico e capaci di rivelare l’originalità del suo idioma pittorico.


Le opere esposte sono risalenti agli esordi della sua attività artistica, seguita all’apprendistato quinquennale presso la bottega del grande pittore greco Spiros Papalukàs, ma verranno inserite anche creazioni recenti. La mostra, curata da Τakis Μavrotàs, è suddivisa in unità, tra cui spiccano le opere del periodo astratto (1966-1980), quelle dedicate al “Monte Athos” (1995-2008), le composizioni appartenenti al ciclo delle “Nuvole” (1987-1993), delle “Paludi”(1992), dei “Paesaggi del fondale” (2001-2008), dei “Centri abitati” (2007), fino a quello dei “Paesaggi” (2007-2008).


Il Sovrintendente al Polo Museale Romano Claudio Strinati, nel catalogo che accompagna la mostra, ne osserva le caratteristiche peculiari: “È un adoratore del disegno e della precisione. Non nel senso della raffigurazione fedele della realtà, ma della distribuzione armonica delle parti del quadro, che deve apparire un universo compiuto, in cui le forme e i colori si riflettono le une negli altri al fine di offrire allo spettatore la sensazione visiva del pittore nell’attimo in cui si pone di fronte al mondo che desidera raffigurare”.

Prosegue Strinati: “Theocharakis nutre un amore profondo per il mare, e ne raffigura i fondali e la superficie come se si trattassero di un organismo vivente, cui l’artista anela e su cui egli desidera che puntiamo la nostra attenzione; il mare è quasi un amico, con il quale sussiste un dialogo incessante giammai turbato da fraintendimenti o da sentimenti negativi. In questo modo, la mano dell’artista viaggia sul quadro con freschezza assoluta e disponibilità a registrare gli stimoli offerti dalla vista. In certi punti del quadro, la pennellata si addensa, si compone e si decompone come se fosse stata colta da un vero e proprio sacro furore volto alla conquista delle forme e della loro essenza reale. In altri punti la pennellata si fa più morbida fin quasi a scomparire, ma anche in questo caso traspare la percezione etica dell’artista che non crea il quadro per idealizzare gli oggetti ma per coglierne l’essenza recondita, che inevitabilmente giova al nostro equilibrio spirituale e alla nostra indagine, conscia o inconscia, volta alla gioia del pensiero, che preannuncia sempre una grande soddisfazione per tutti coloro in grado di esercitarlo davvero”.


Miltiadis Papanikolau, professore di Storia dell’arte presso l’Università Aristotele di Salonicco, nel catalogo-album ne elogia la tecnica: “Gli acquarelli di Theocharakis sono opere eseguite con arte impeccabile e secondo i principi tradizionali. Si tratta di opere a cui l’artista attende sin dalla giovinezza e grazie alle quali egli ha acquisito un’abilità straordinaria in una tecnica che per il nostro pittore assume in primo luogo i connotati dell’indagine. Nei quadri della maturità, la superficie pittorica si carica di energia mentre la musicalità dei toni pittorici aggiunge una dimensione paganeggiante a tutta la composizione in quanto il paesaggio greco vi è esaltato al massimo grado, e in particolare il dialogo del cielo e della terra con il mare; nel contempo, la successione dei monti scoscesi con la vegetazione e l’acqua tradiscono il bisogno dell’artista di abbandonarsi alla contemplazione poetica e alla metamorfosi lirica della realtà".


In occasione della mostra, sono disponibili i seguenti cataloghi:
Theocharakis. Pittura 1952-2008 contenente le opere più rappresentative del cinquantennale percorso artistico di Theocharakis e con i testi di Claudio Strinati, Ànghelos Delivoriàs, Chrìsanthos Christu, Μarina Lambraki-Plaka, S.S. il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo, Meri Michailidu, Claude Maulard, Dora Iliopulu-Rogan, Dimitris Papastamos, Νelli Misirlì, Charis Kamburidis, Τakis Mavrotàs, Sania Papà e Gerard Xuriguera.

Theocharakis. Αcquarelli 1990-2008 contenente gli acquarelli più rappresentativi, ispirati alla natura greca, con i testi di Miltiadis Papanikolau, Μarina Lambraki-Plaka, Νelli Misirlì e Dora Iliopulu-Rogan.

lunedì 29 settembre 2008

FESTIVITA’ SANT’EUSTACHIO 20 SETTEMBRE 2008

BASILICA DI SANT’EUSTACHIO IN CAMPO MARZIO 20 settembre 2008
GALLERIA VIA METASTASIO 15 – ARTISTA: SIDIVAL FILA – fino al 31 ottobre 2008


Dopo un’interruzione di ventisette anni, il 20 settembre 2008 è stata nuovamente celebrata la Festività di Sant’Eustachio nella Basilica del Santo Patrono.


La storia del Santo è tramandata da varie leggende che sottolineano la centralità della conversione alla fede cristiana dell’uomo e della sua famiglia.

Placido, così si chiamava prima della conversione, nacque verso la metà del primo secolo dopo Cristo. Nobile patrizio romano, dedito all’arte delle armi, raggiunse nell’esercito romano l’elevato grado di magister militum e, in quanto tale, venne chiamato dall’imperatore Traiano al comando di una legione inviata per operazioni militari in Asia minore dove si distinse per il suo eroismo.

Secondo la leggenda, durante una battuta di caccia, Placido vide brillare tra le corna di un cervo, una croce: profondamente colpito si convertì e con lui aderirono al cristianesimo la moglie Teopista e i figli Teopisto e Agapito e tutta la famiglia ricevette il battesimo. Placido, in quell’occasione prese il nome di Eustachio.

Colpito da sventura, probabilmente a causa delle gravi difficoltà alle quali l’intera famiglia dovette far fronte in seguito alla conversione, Eustachio perse tutti i suoi beni e fu costretto ad abbandonare Roma, rifugiandosi in Egitto, dove gli vennero rapiti anche moglie e figli.

Trascorsi alcuni anni, essendosi riaccesi i problemi di potere in Asia minore, l’imperatore Traiano fece cercare l’eroico generale perché combattesse nuovamente a capo delle milizie romane. Eustachio riprese il comando e riportò splendide vittorie, tanto da essere accolto in trionfo a Roma, dove ritrovò, con sua grande gioia, i familiari dispersi. Ma il successore di Traiano, l’imperatore Adriano, di fronte alle accuse che venivano rivolte a Eustachio di essere cristiano, gli ordinò di offrire un sacrificio agli dei di Roma. Al suo rifiuto lo condannò, insieme con la moglie e i figli, al supplizio della morte all’interno di un contenitore di metallo arroventato a forma di toro.Le spoglie del santo sono custodite, tuttora, in un sarcofago di porfido, posto sotto l’altare maggiore della basilica, mentre parte delle reliquie sono conservate nella chiesa parrocchiale di St-Eustache a Parigi.

Il ripristino della Festività di Sant’Eustachio è stato fortemente voluto dal Rettore della Basilica Monsignor Antonio Menegaldo e dalla Consigliera alle Relazioni Esterne per il Sindaco di Roma Valeria Mangani a cui si è unito l’impegno della Galleria Via Metastasio 15 che per l’occasione ha presentato le opere dell’artista brasiliano Fra Sidival Fila, esposte in contemporanea anche nella sala della Galleria fino al 31 Ottobre.

L’evento sottolinea il desiderio della comunità romana di dare nuovo valore alle antiche tradizioni di Roma riproponendo l’importanza culturale e sociale delle feste rionali in cui ente politico ed ente religioso trovano un nuovo momento d’incontro. Momento culminante dell’evento è stata infatti la consegna da parte del Vicesindaco di Roma Mauro Cutrufo del calice eucaristico al Rettore della Basilica di Sant’Eustachio.

All’iniziativa realizzata da Bianca Alfonsi, Alessia Montani e Umberto Ciauri hanno aderito il Gruppo SFIR, l’antico Caffè Sant’Eustachio, Michele di Rienzo al Pantheon e la Cantina di vini Camponeschi; con la collaborazione della MORorg srl.

Fra Sidival Fila
Nasce in Brasile nel 1962 nello stato del Paranà. Nel 1985 si trasferisce in Italia dove entra a far parte della famiglia religiosa dei frati minori di San Francesco d’Assisi. La sua produzione artistica propone il recupero di diversi materiali poveri come base per la realizzazione di quadri scultura di notevoli dimensioni. Legno, ferro, carta, vecchi tessuti e materiali sono accostati ai colori rispettando un voluto rigore compositivo e formale. Su ogni opera è possibile ritrovare il connubio tra materiale e spirituale: alla forza espressiva dei materiali si aggiunge infatti la relazione con la luce atmosferica che vi trasferisce infinite vibrazioni. Ogni tela diventa la ricerca di un equilibrio, lo spirito e il corpo racchiusi all’interno di carta, metallo, legno, vecchie tele, acrilici e foglia d’oro.

Nel 2007 ha esposto la sua prima mostra personale nel convento di S. Bonaventura di Frascati.
Nel 2008 ha partecipato con la Galleria Via Metastasio 15 al Festival dei due Mondi di Spoleto.

Giorgia Simoncelli

mercoledì 17 settembre 2008

Guido Ravasi il signore della Seta



26 settembre – 8 dicembre 2008


Fondazione Antonio Ratti, Como




Il Museo Studio del Tessuto della Fondazione Antonio Ratti inaugurerà il 26 settembre 2008 una mostra dedicata a Guido Ravasi (Milano 1877 - Como 1946), creatore nella prima metà del Novecento di straordinarie sete operate e stampate, con le quali partecipò alle Biennali di Monza degli anni Venti e all’Esposizione Internazionale di Parigi del 1925. La mostra, che sarà aperta al pubblico sino all’8 dicembre 2008 presso la FAR, è a cura di Margherita Rosina e Francina Chiara, rispettivamente direttrice e curatrice del MuST. L’evento è patrocinato dalla Regione Lombardia e dalla Provincia di Como.


Il MuST possiede una ricchissima collezione di tessuti e album campionario della produzione di Ravasi, che costituiranno la base della mostra insieme a importanti reperti provenienti dagli archivi del Museo Didattico della Seta di Como, che collabora all’iniziativa. La figura di Guido Ravasi, artista-imprenditore che contribuì a diffondere la fama delle sete comasche nel mondo, verrà indagata seguendo i vari filoni della sua produzione: dalle “sete d’arte” ai tessuti per cravatteria, dai leggeri stampati creati per le principali sartorie milanesi degli anni Venti, al famoso piviale realizzato per il Pontefice Pio XI, che uscirà per la prima volta dalla Sacrestia della Cappella Sistina e sarà restaurato per l’occasione dall’Istituto Centrale per il Restauro di Roma. Altri prestiti importanti di tessuti inediti provenienti da collezioni italiane e straniere andranno a completare il quadro della prima monografica dedicata a Guido Ravasi. La mostra si articolerà in sezioni, nelle quali i materiali saranno organizzati in base alla destinazione d’uso. Un primo gruppo, le “sete d’arte”, raccoglierà la parte più spettacolare dei tessuti creati da Ravasi, con disegni dalla forte impronta orientale prodotti in innumerevoli varianti di colore. Foto degli anni Venti, eseguite dal famoso fotografo milanese Sommariva, illustreranno le sedi nelle quali furono esposti, restituendoci il gusto del periodo.


La seconda sezione sarà dedicata alle committenze prestigiose, Chiesa e Stato. Ravasi fu tra i fornitori del Vaticano. Per la chiusura della Porta Santa, in occasione del Giubileo del 1925, l’artista-imprenditore donò al Pontefice Pio XI uno splendido parato di estrema leggerezza, conservato presso la Sacrestia della Cappella Sistina. In occasione del matrimonio di Maria José del Belgio con il principe ereditario Umberto di Savoia, Ravasi realizzò un raso operato a grandi motivi d’oro, che sarà presente in mostra, destinato probabilmente alla fodera del manto nuziale. Come molti industriali del suo tempo, Ravasi intrattenne anche rapporti con il regime fascista, testimoniati da tessuti, sia operati che stampati, la cui vicenda verrà ricostruita attraverso inediti documenti rinvenuti all’Archivio Centrale dello Stato di Roma. La cravatteria e l’abbigliamento maschile saranno il fulcro della terza sezione. Como negli anni tra le due guerre fu una delle protagoniste europee nel campo della cravatteria, con studi di disegno importantissimi come quelli di Gualdo Porro, vincitore nel 1927 del premio internazionale “Salterio” per la migliore cravatta del mondo. La produzione in questo ambito di Ravasi mostra una modernità di disegno sorprendente, tale da renderla interessante anche per i designer contemporanei. L’ultima parte della mostra sarà dedicata al rapporto tra Ravasi e la moda. I suoi legami con le più importanti sartorie milanesi degli anni Venti e Trenta sono poco conosciuti, ma saranno qui documentati dalle riviste dell’epoca. Verranno esposti i tessuti da lui creati e i figurini di moda che rappresentano il risultato di questa collaborazione, assieme a un abito prestato dalle Civiche Raccolte di Arte Applicata del Castello Sforzesco di Milano.Infine, l’esposizione Guido Ravasi il signore della Seta sarà l’occasione anche per far luce sui complessi rapporti che legarono Ravasi a una serie di figure di rilievo del Novecento: dallo scenografo Mario Cito Filomarino e il pittore Piero Persicalli al gioielliere Alfredo Ravasco, per giungere ai più importanti esponenti del panorama della cultura italiana tra le due guerre.


Il catalogo, pubblicato dalla casa editrice Nodo libri di Como, sarà corredato dalle schede a colori dei tessuti esposti, illustrati a piena pagina e comprenderà la biografia del personaggio, un saggio sulla sua produzione tessile e contributi sul suo rapporto con la moda e i legami con il mondo culturale italiano. Informazioni Titolo della mostra: Guido Ravasi il signore della Seta Sede: Fondazione Antonio Ratti, Lungo Lario Trento 9, Como Progetto e curatela: Margherita Rosina, direttore MuST e Francina Chiara, curatore MuSTIn collaborazione con: Museo Didattico della Seta, Como Inaugurazione: 26 settembre 2008, ore 19.00, Fondazione Antonio Ratti Date: dal 27 settembre all’8 dicembre 2008




Orari: dal martedì al venerdì dalle 16.00 alle 19.00 – sabato e domenica dalle 11.00 alle 19.00




Ingresso: gratuito Catalogo: Nodo libri, Como Informazioni: MuST – Museo Studio del Tessuto della FAR, tel. + 39 031 233224




Ufficio stampaIlaria Gianoli +39 333 6317344






Teresa Saibene +39 031 233211


Giulio Cesare. L'uomo, le imprese, il mito

Roma, Chiostro del Bramante
23 ottobre 2008 - 3 maggio 2009
In mostra al Chiostro del Bramante anche la mitica urna delle ceneri di Cesare.
Per la curiosità di molti, alla mostra "Giulio Cesare. L'uomo, le imprese, il mito" in preparazione al Chiostro del Bramate (dove aprirà i battenti il prossimo 23 ottobre) sarà esposto anche un mitico globo. E' quello che, secondo la tradizione, avrebbe conservato le ceneri di Cesare poste sulla punta dell'obelisco egizio che attualmente domina Piazza San Pietro. Verrà esposto come simbolo del mito di Cesare e delle infinite storie e leggende che nei secoli si sono sedimentate sul grande personaggio. L'antico manufatto è conservato oggi nei Musei Capitolini, sfregiato, tra l'altro, dai segni delle archibugiate infertegli dai Lanzichenecchi durante il Sacco di Roma del 1527."Col tempo, afferma Giovanni Gentili che con Paolo Liverani, Enzo Sallustro e Giovanni Villa cura l'imponente mostra in via di approntamento al Chiostro del Bramante, capita anche che dallo stesso mito siano stati permeati luoghi e monumenti che nulla hanno avuto a che fare, direttamente o indirettamente, con la persona e le varie vicende di Cesare; ed è questo un ulteriore segno della sua fama imperitura.Esemplare in questo senso è la leggenda cesariana legata al celebre obelisco egizio che si erge maestoso ancora oggi in piazza San Pietro, proveniente dal vicino circo di Nerone-Caligola in Vaticano.Trasportato dall'Egitto per volontà dell'imperatore Caligola nel 37 d.C. come principale elemento decorativo della spina per il circo, l'obelisco era stato realizzato per Nencoreo, faraone della XII dinastia (1991-1786 a.C.) e collocato ad Heliopolis, città dalla quale Giulio Cesare lo fece trasferire ad Alessandria, capitale ellenistica dell'Egitto dei Tolomei, per adornare la città di Cleopatra. Con tale simbolo eretto a Roma, Caligola si univa idealmente all'iniziatore dell'impero; tuttavia egli non riuscì a vedere completato il circo, che fu portato a termine da Nerone e che fu anche teatro del martirio di S. Pietro nel 64. Il primo papa della chiesa cristiana fu sepolto lì a fianco, nel luogo dove già sorgeva una necropoli, poi occultata dai lavori per la realizzazione della prima basilica di S. Pietro, al tempo dell'imperatore Costantino. L'obelisco però rimase fuori dal perimetro dell'edificio e fu lasciato al suo posto - nei pressi dell'attuale Aula Nervi -, col suo globo bronzeo dorato e l'iscrizione, poi perduta, che rimandava a Cesare.Nel corso del Medioevo il monumento, impostosi per l'attiguità alla mèta di migliaia di pellegrini, venne chiamato l'aguglia e la probabile suggestione data allo stesso dalla vicinanza della sepoltura di S. Pietro, portò a vedervi un monumento funerario, ovviamente di un "Grande": il grande globo posto sulla sommità dell'obelisco altro non sarebbe stato che l'urna cineraria di Gaio Giulio Cesare, di cui si sapeva, attraverso le fonti letterarie, della cremazione, avvenuta tra i tumulti poco dopo l'assassinio.La leggenda divenne parte integrante delle notizie raccontate ai visitatori della basilica ed il monumento additato come tomba di Cesare nei Mirabilia Urbis Romae, tanto da essere ancora vivo nella memoria culturale della stessa popolazione romana fino alla fine del XVI secolo, quando papa Sisto V Peretti, fiero avversario di ogni superstizione e diffidente della considerazione quasi religiosa per il globo, decise di porre fine alla medesima.Si decise allora, nel progetto di ampliamento e nuovo allestimento di piazza S. Pietro, lo spostamento dell'obelisco al suo centro, dove veniva a rappresentare, nel solco del significato simbolico dell'oggetto, l'autorità cristiana. L'impresa titanica delle complesse operazioni di trasferimento e nuovo innalzamento dell'obelisco al centro della piazza è descritta dal suo organizzatore, l'architetto Domenico Fontana, nel libro Della Trasportatione dell'Obelisco Vaticano et delle Fabriche di Nostro Signore Papa Sisto V, edito nel 1590. Parte integrante dei lavori, realizzati nel 1586, è stata la rimozione dell'antico globo dorato e quindi della fine della leggenda popolare: la sfera fu aperta e trovata vuota e al suo posto sull'obelisco fu issata una croce bronzea contenente una reliquia della "vera Croce".

martedì 16 settembre 2008

Georges Seurat, Paul Signac e i neoimpressionisti

Apre a Milano la prima grande retrospettiva realizzata in Italia e dedicata al neoimpressionismo, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana e promossa dal Comune di Milano – Cultura. Con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, del Ministero degli Affari Esteri, della Regione Lombardia, della Provincia di Milano, dell’Ambasciata di Francia in Italia e con la partecipazione del Musée d'Orsay, la mostra è prodotta da Palazzo Reale e da Arthemisia.

A cura della studiosa francese Marina Ferretti Bocquillon, "Chargée de Mission" al Musée d'Orsay di Parigi e con importanti incarichi museali in Francia, la mostra s’incentra sulle figure di Georges Seurat e Paul Signac, presentando una scelta di loro straordinari dipinti provenienti dai più importanti musei del mondo (tra cui il Musée d'Orsay di Parigi, il Metropolitan e il Guggenheim Museum di New York) ed è pensata per far scoprire al pubblico le due personalità artistiche nel rispettivo ruolo e nel fondamentale contributo che diedero alla nascita e allo sviluppo del neoimpressionismo, diffusosi rapidamente soprattutto in Francia ed in Belgio.

La storia del neoimpressionismo inizia nel 1884, quando i due artisti si incontrano per la prima volta, e la mostra evidenzia la loro evoluzione fino alla nascita del movimento, durante l’inverno 1885-86.
La Seine à Courbevoie è l’opera dipinta da Seurat nel momento in cui le sue ricerche segnano un vero e proprio traguardo artistico, dopo i numerosi studi eseguiti nell’isola della “Grande Jatte”. Ed è proprio in quel momento che il pittore mette in pratica il principio fondamentale della divisione del colore, secondo il quale, ponendo sulla tela piccoli tocchi di colori puri, viene lasciata alla retina dello spettatore il compito di operare, in una visione a distanza, la mescolanza dei toni cromatici.
Il neoimpressionismo è nato e la nuova tecnica, applicata con più o meno rigore, conosce un’ampia diffusione fino alla morte di Seurat nel 1891. Durante gli ultimi venti anni del movimento, dal 1891 al 1910, è soprattutto sotto l’impulso di Signac che la tecnica neoimpressionista si libera maggiormente ed evolve verso un’espressione sempre più intensa del colore.

Il percorso della mostra è organizzato secondo uno sviluppo tematico in sette sezioni che colloca le opere nel loro contesto storico, e offre altresì una coerenza cronologica che consente di seguire l’evoluzione stilistica del neoimpressionismo. Inoltre, un’opera italiana, divisionista o prefuturista (tra cui dipinti di Balla, Previati, Russolo, Longoni), completa ogni sezione in cui è diviso il percorso, per sottolineare la confluenza degli interessi artistici europei durante quel periodo, particolarmente ricco d’innovazioni estetiche.

Sezioni della mostra:

1 - Seurat e Signac prima del neoimpressionismo
Di formazione e temperamento opposti, Seurat e Signac si conoscono nel 1884 durante la prima mostra del gruppo degli “Artistes Indépendants” a Parigi. Georges Seurat (1859-1891) ha ventiquattro anni e cerca leggi sicure che regolino il concetto di bellezza in quanto ai suoi occhi “l’arte è armonia”.
È l’anno in cui Seurat, formatosi all’Ecole des Beaux-Arts, espone la sua prima grande composizione Une baignade. Asnières (1884, Londra, National Gallery), nella quale conferisce ad una scena di vita moderna le dimensioni di un quadro storico. Le opere del giovane Seurat si distinguono subito per una geometria insistente, e negli studi si può notare, sin dal 1882-83, una “mise en place” dai tocchi regolari come in Paysan à la houe (1882) e Paysannes au travail (1882-83) (entrambi dal Solomon R. Guggenheim Museum di New York), che rendono uniforme e unitaria l’insieme della superficie.
Paul Signac (1863-1935) ha vent’anni e dipinge da autodidatta, dopo essere rimasto affascinato da una mostra di Monet, per cui molto presto assimila la tecnica impressionista. La libertà offerta dal lavoro “en plein air”, l’amore per una luce ed un colore scintillanti, corrispondono alla sua sensibilità. Tutto ciò però non gli impedisce di privilegiare, come Seurat, le composizioni frontali e ben orchestrate che limitano gli effetti prospettici ed affermano la superficie della tela. Tanto Seurat è riservato, quanto Signac è estroverso e preso dalla passione per il colore. Sicché toccherà a lui, chiamato ben presto il “San Paulo” del neoimpressionismo, diffondere e divulgare la teoria della divisione dei toni.
Nonostante le differenze, i due artisti, divenuti amici, condividono il gusto del rigore, della modernità e soprattutto l’ambizione di essere innovativi. Vogliono essere obiettivi scegliendo di descrivere il mondo moderno, secondo il linguaggio che gli è proprio ovvero nuovo e scientificamente all’avanguardia. Si interessano quindi ai trattati di ottica ed allo studio della percezione dei colori.

2 - Periferie
Nel corso della seconda metà del XIX secolo, Parigi, come la maggiore parte delle grandi città europee, si espande e nella periferia i neonati quartieri residenziali confinano con le zone industriali. Questo nuovo paesaggio fa si che i parigini ricerchino nuovi svaghi sulle rive della Senna.
Appassionato di vela, Signac, scopre ad Asnières, dove vive la madre, contemporaneamente le gioie della navigazione e quelle della pittura “en plein air”. Sempre ad Asnières, Seurat inizia nel 1883 la sua prima composizione: Une baignade. Poco lontano si trova l’isola della Grande Jatte, dove i parigini si recano a passeggiare, ed è questo il luogo che l’artista sceglie per dipingere il quadro considerato l’icona del neoimpressionismo, Un dimanche après-midi à l’île de la Grande Jatte (1884-86, Art Institute of Chicago). Iniziato nel 1884, il quadro viene ripreso e modificato da Seurat, nel corso dell’inverno 1885-1886, raggiungendo una divisione sistematica dei toni.
Signac non perde tempo e subito dopo, nel marzo-aprile 1886, dipinge Les Gazomètres de Clichy, (Melbourne, National Gallery of Victoria) il suo primo paesaggio rigidamente neoimpressionista. Nel maggio 1886, espongono quindi entrambi, con Camille e Lucien Pissarro all’ottava ed ultima esposizione impressionista, presentando le loro prime opere “neoimpressioniste” intorno a Un dimanche après-midi à l’île de la Grande Jatte. Rapidamente il neoimpressionismo si diffonde in Francia e in Belgio, con sempre più numerosi emuli, sedotti, se non dalla portata scientifica, sicuramente dalla novità del procedimento.

3 - Le stagioni e i lavori
I giovani pittori neoimpressionisti hanno ereditato dai fratelli maggiori impressionisti un gusto spiccato per l’analisi e la traduzione della luce dell’Ile de France. Spesso privi di presenze umane, i paesaggi di Camille Pissarro, d’Albert Dubois-Pillet e di Henri Edmond Cross, dei belgi Henry van de Velde o Théo van Rysselberghe e dell’olandese Jan Toorop, si organizzano secondo una geometria semplice in cui lo studio della luce diventa il vero e proprio soggetto del quadro. Queste tele esprimono una poesia distaccata, quasi astratta, e possono riassumersi in un’armonia cromatica più o meno sfumata secondo il temperamento dell’artista. Significativi in tal senso Briqueterie Delafolie à Eragny (1888) di Pissarro e Paysage avec maronnier (1889, Dordrechts Museum) di Toorop.
Tuttavia, nelle opere di alcuni pittori appare una preoccupazione d’ordine sociale: il belga Costantin Meunier è un precursore in questo campo, seguito da Georges Morren, e in Francia, da Maximilien Luce che diventa il poeta del mondo operaio.

4 – Seurat, Signac: marine
Grazie allo sviluppo della ferrovia, i parigini scoprono il fascino delle spiagge normanne e bretoni. Come Monet, anche Seurat e Signac trascorrono di solito l’estate in riva al mare e se nei mesi invernali, Seurat nel suo atelier si dedica alle grandi composizioni che chiama “Immagini di lotta”, in estate lavora alle Marine.
Marine che sono spesso un puro studio di linee e di colore e che costituiscono un punto fra i più alti dell’arte di Seurat e Signac. Entrambi danno libero corso alla passione per l’analisi della luce e allo sviluppo degli accordi cromatici particolarmente raffinati, in cui la piccola pennellata fa vibrare la superficie della tela come in Port-en-Bessin, avant port, marée haute del 1888 (Parigi, Musée d’Orsay) e in Le chenal de Gravelines: un soir (1890, New York, The Museum of Modern Art) di Seurat. La purezza formale di queste immagini conferisce loro una poesia quasi musicale e, infatti, non contento di attribuire ai suoi quadri un numero “d’opus”, Signac li ha spesso sotto-titolati evocando il ritmo di una partitura, come “l’allegro maestoso” di Concarneau: Calme du soir (New York, The Metropolitan Museum of Art, Lehman Collection).

5 - La città
La Parigi di fine Ottocento è un immenso cantiere. Dopo aver visto il tessuto urbano rimodellato dal prefetto Haussmann, i parigini assistono al completamento della ristrutturazione delle Halles e alla costruzione della Tour Eiffel.
Ma, per gli artisti, Parigi evoca principalmente l’atelier, quello in cui le modelle posano e dove sono elaborate le composizioni più ambiziose perché i pittori neoimpressionisti hanno un approccio del tutto diverso da quello impressionista. Tramite disegni, studi dipinti e schizzi procedono con un lavoro progressivo, riannodando così con le tradizioni della pittura classica.
Parigi è comunque un luogo di svaghi e di ritrovi e gli artisti s’incontrano nei caffè, frequentano locali notturni ed assistono a spettacoli alla moda: il circo, il cabaret e soprattutto il “Can-can”, come testimoniano i due più importanti studi di Seurat, eccezionalmente in mostra, Studio per Le Chahut, 1889-90 (London, Courtauld Institute of Art) e Le Chahut Etude, 1889 (Buffalo, Albright-Knox Art Gallery) mentre Louis Hayet dipinge per esempio, e sono anch’essi in mostra, Au café e La Halle aux blés.
Di notte poi, l’illuminazione a gas dà un nuovo viso alla capitale e il pittore Angrand è il primo a studiarne gli effetti, mentre la poesia notturna delle grandi città con i lampioni accesi seduce particolarmente Maximilien Luce, di cui vediamo Quai de l'Ecole. Paris le soir del 1889. La città è infine il luogo delle mostre, tuttavia i giovani pittori rifiutano di sottoporre le loro opere alla Commissione del “Salon Officiel (esposizione annuale che si teneva nella Parigi ottocentesca i cui organizzatori controllavano l’intero settore artistico) ed espongono in alternativa sia al “Salon des Artistes Indépendants” di Parigi sia al “Cercle des XX” di Bruxelles.

6 - Ritratti
La figura umana è il soggetto più rappresentato nella storia della pittura occidentale. I pittori neoimpressionisti affrontano questo tema sia nelle loro grandi composizioni sia nei numerosi ritratti, per lo più dei loro familiari: Héloïse Signac, madre dell’artista, è ritratta nella La Salle à manger (1886-87), di cui è esposto un mirabile studio, e vediamo la sua compagna, Berthe Roblès, in Femme sous la lampe (Parigi, Musée d'Orsay) e in Femme se coiffant. Lucien Pissaro dipinge il giovane fratello Georges al lavoro, come si vede ne L'Atelier de l'artiste. Portrait de son frère (1887, Indianapolis Museum of Art). AncheThéo Van Rysselberghe ci ha lasciato numerosi ritratti, tra cui, splendidi, quelli della figlia Elisabeth e dell’amico Emile Verhaeren (1892, Bruxelles, Bibliothèque Royale de Belgique), poeta e difensore della causa neoimpressionista. Georges Lemmen ci ha consegnato invece, da ammirare ora in mostra, il meraviglioso dipinto delle piccole Serruys, Les Soeurs Serruys (1894, Indianapolis Museum of Art) sorelle della sua allieva, la pittrice Yvonne Serruys.

7 - Dopo Seurat: marine
Dopo la morte di Seurat nel 1891, Signac è a capo del neoimpressionismo. Lo stesso anno, Cross si stabilisce nel Sud della Francia dove vive come un eremita a Cabasson. Nel 1892 Signac scopre intanto Saint Tropez e decide di trascorrervi parte dell’anno e viene qui raggiunto da numerosi amici.
La sua tecnica evolve nel giro di qualche anno verso una maggiore libertà: nel 1895 il tocco si espande ed il colore viene rafforzato. Le sue opere assumono la forma di mosaici e guadagno in forza e in semplicità; Saint-Tropez. L'orage (1895, L’Annonciade, Musée de Saint-Tropez), qui esposto, ne è un chiaro esempio. D’altro canto, sia Clocher de Saint-Tropez (1896, Toulouse, Fondation Bemberg), sia la furia colorata del bellissimo Voiles et pins (1896) sono testimoni di questa evoluzione: lo studio del colore puro primeggia sull’analisi della luce ed annuncia oramai il Fauvismo. Nel 1899, Signac pubblica il volume D’Eugène Delacroix au néo-impressionnisme che spiega gli elementi propulsivi della tecnica divisionista e li integra in una prospettiva storica. Questo trattato (presente in mostra), tradotto in tedesco e spesso ripubblicato, sarà letto ed avrà un grande impatto su un’intera generazione di pittori con la passione per i colori e per le teorie estetiche, tra cui in particolare Wassily Kandinsky. Matisse soggiorna a Saint Tropez nel 1904 e pratica, seppur per poco tempo, la divisione dei toni e lo stesso anno Mondrian lavora presso Toorop a Domburg nei Paesi Bassi.
A Parigi, Balla (in mostra Agave sul mare del 1905) e Severini s’interessano anch’essi, affascinati, alla teoria e alla tecnica della divisione e del colore puro. Alla morte di Cross nel 1910, Signac rimane l’ultimo rappresentante del primo neoimpressionismo. Dipinge d’ora in poi sempre meno ad olio e pratica sempre più la tecnica dell’acquarello. Una nuova storia inizia, quella delle avanguardie del XX secolo.

La fotografia del colore e la teoria del colore
Nel percorso della mostra, due sezioni specifiche sono dedicate rispettivamente alla fotografia a colori, a cura di Silvana Turzio, e all’approfondimento delle teorie del colore, a cura di Francesca Valan.

Fin dal 1860 alcuni fotografi sperimentatori si ispirano alla “miscela ottica” e alla teoria del “contrasto simultaneo”, studiati da Eugène Chevreul, individuando soluzioni interessanti, ma occorre aspettare l’inizio del Novecento perché si concretizzi il sogno della “fotografia del colore”: l’autocromia, messa a punto dai fratelli Lumière. Le straordinarie autocromie esposte in questa sezione, provenienti dalla collezione della Société française de photographie, sono state scelte tra quelle prodotte nei primissimi anni della loro diffusione e tra quelle che più si avvicinano ai quadri neoimpressionisti sia per i soggetti che per la ricerca estetica.
Nella sezione dedicata alle teorie del colore è possibile invece realizzare veri e propri esperimenti visivi ideati e documentati dallo stesso Chevreul; esercizi che aiutano a "vedere" le vibrazioni luminose e a capire la ricerca dei neoimpressionisti. Alcuni esperimenti visivi si possono altresì effettuare lungo il percorso della mostra, di fronte ai quadri, in modo da comprendere a fondo la tecnica dei pigmenti puri composti direttamente sulla tela e i diversi stili di pennellata. Al termine del percorso, ogni visitatore potrà altresì partecipare alla divertente interpretazione collettiva del grande capolavoro di Seurat Un dimanche après-midi à l’île de la Grande Jatte, posando sulla traccia grafica del dipinto un pallino adesivo colorato ovvero il proprio "puntino" cromatico.

Catalogo Skira

Giovedì 9 ottobre 2008
Vernice stampa - conferenza stampa presso la Sala delle Otto Colonne ore 11.30
Inaugurazione ore 18.30
Palazzo Reale, Piazza Duomo 12, Milano

mercoledì 10 settembre 2008

ANTONIO DEL DONNO

Vernissage: mercoledì 10 settembre 2008, ore 18:00
Margutta RistorArte, Via Margutta 118 - Roma

Mercoledì 10 settembre 2008 alle ore 18:00, Tina Vannini presenta al Margutta RistorArte la mostra personale di Antonio Del Donno, organizzata dalla Horti Lamiani- Bettivò e curata da Giorgia Calò. L'esposizione presenta una selezione di opere dell'artista realizzate dagli anni Sessanta ad oggi. . Nella società dello spettacolo, una società capace di bruciare i segni e i gesti più significativi, Antonio Del Donno - artista italiano "classicamente moderno", come lo definisce Achille Bonito Oliva - trasforma i segni in messaggio. Il mezzo, la tela, diviene il messaggio mediante parole, gesti informali e frasi campite su colori accesi che diventano canali di trasmissione. E, del tutto coerente, è lo sbocco della pittura di Del Donno prima nel collage, poi nella grafica, ed infine in una ricerca del visivo fondata sul rapido consumo dell'oggetto. A conferma di questa poetica visuale l'uso di colori contrastanti, violentemente dissonanti, laddove la pennellata a volte è più decisa a volte meno. Sono proprio le infinite proposte cromatiche a catturare lo sguardo del pubblico: il colore che, mediante pennellate vibranti, diviene esso stesso materia. Ma anche la linea ha un ruolo fondamentale nella pittura di Del Donno. Dopo cinqunata anni di attività la sua ricerca artistica è ancora dominata dalla linea, tirata sempre con la stessa energia e vissuta sempre alla ricerca di nuovi linguaggi. In nessun lavoro di Del Donno (eccetto le fotografie) compaiono figure umane. In realtà le sue opere sono popolatre di persone: è lo spettatore stesso, che fruisce e consuma l'opera attraverso i segni, le frasi, i colori, i gesti che gli si presentano davanti."...Nell'opera di Del Donno non c'è nessuna indulgenza verso la citazione e il remake, c'è piuttosto il prelievo e il rifacimento, come quando ci serviamo di un vecchio utensile o di un oggetto abbandonato e li adattiamo a nuovi usi" (Filiberto Menna, 1987). Molti critici e storici dell'arte si sono occupati del lavoro, ormai quarantennale, di Del Donno. Solo per citarne alcuni: Filiberto Menna, Mirella Bentivoglio, Achille Bonito Oliva, Elio Galasso, Nico De Vincentiis, Silvio Zanella, Antonio Petrilli.

venerdì 5 settembre 2008

ORO

OPERA D’ARTE
RINNOVO
OMAGGIO AL TRASCENDENTE

Oro, opera – rinnovo - omaggio: un omaggio al trascendente, al tema della rinascita e del rinnovo che Via Metastasio 15 propone con i lavori di Chicco Margaroli e Alexei Kyrilloff. La preziosità materica dell’oro viene ricercata come veicolo di un profondo messaggio spirituale di trasformazione.

Chicco Margaroli presenta Giostra, installazione di anelli scultura in vescica stabilizzata e foglia d’oro. L’anello simbolo di appartenenza affettiva e di proprietà è il prezioso involucro del sentimento, della relazione quotidiana tra uomo e donna e dei frutti che essa produce. Così Eden è la rappresentazione idealizzata del grande sogno d’amore, il Remigante è l’uomo che conduce nel mare della vita, il Guardiano è la forza del protettore.



L’artista presenta anche Cut-e, video sulla forza della vita che come un seme piantato germoglia fino alla recisione della nascita, al distacco dal ventre-terra della madre per poter realmente costituire una nuova esistenza.

Alexei Kyrilloff è presente con ritratti di giovani donne in carta di riso e carta pergamena in cui l’iconografia russa si mescola alla cromia brillante della terra greca dove l’artista attualmente vive e lavora. A questi si uniscono dipinti e misteriose scatole “magiche” strumenti per stimolare la mente e lo spirito verso una riscoperta del trascendente.



Il sacro dell’amore in un quotidiano omaggio alla vita.

Oro è anche la preziosa opera d’arte orafa del maestro Enrico Morbidoni.

Todi, Complesso Monumentale delle Lucrezie, Via Paolo Rolli
dal 7 al 14 settembre


Via Metastasio 15
Art Gallery & Store

La Galleria d’Arte Contemporanea Via Metastasio 15 nasce a Roma dalla volontà di due soci fondatori, l’avvocato e collezionista Alessia Montani e l’artista orafa Bianca Alfonsi.

Il mondo dell’Arte è un universo complesso e variegato e la Galleria ospita ogni forma artistica ed espressiva. Opere di pittura, scultura, fotografia e libri, di artisti già affermati in ambito internazionale o emergenti, proposti accanto a pezzi unici, o realizzati in piccola serie, da sperimentati maestri artigiani, proposti in una visione della creatività concepita su vari livelli e percorsi di trasformazione.

Via Metastasio 15 è uno spazio unico nato dalla convinzione che dove c’è armonia, bellezza e suggestione, c’è arte.

lunedì 1 settembre 2008

A ROMA LA PRIMA MOSTRA AL MONDO SU CESARE

Finalmente i grandi protagonisti della storia romana a Roma! Il Chiostro del Bramante inaugura una stagione nella sua ormai ben nota programmazione espositiva dedicandola, appunto, a questo tema.

Dal 24 ottobre 2008 al 05 aprile 2009 è in programma, la prima mostra mai realizzata in Italia e nel mondo attorno alla figura del protagonista assoluto dell'antica Roma Giulio Cesare (ca. 100 - 44 a.C.), il primo "dittatore", artefice indiscusso della grandezza del futuro impero romano di cui sarà principe, non a caso, il figlio adottivo Ottaviano, primo "Cesare Augusto".

Di Cesare le cronache abbondano di notizie, fin dai tempi che lo videro affacciarsi sul palcoscenico politico dell'Urbe e poi intrepido comandante dell'esercito romano, con cui riportò clamorose vittorie ed annessioni di nuovi territori che ingigantirono il potere di Roma in area mediterranea.
Personaggio chiave del travagliato passaggio tra la repubblica romana e l'impero, Cesare non fu mai imperatore, ma pose le basi per la solida attuazione dell'Impero. Figura d'eccezione - letterato, storico, generale e politico di straordinaria lungimiranza - iniziò già da vivo a costruire il mito di se stesso. Si presentò infatti come discendente di Venere, legato quindi al mito originario della stessa città di Roma risalente, secondo l'antica tradizione, allo stesso Enea, figlio di Venere, che si vuole sbarcato sulle rive tirreniche laziali al termine del suo lungo peregrinare, esule da Troia, come narra l'Eneide virgiliana.

Questa trama leggendaria, magistralmente costruita da Cesare, sarebbe stata ripresa e sviluppata dai suo successori al comando dell'Impero, ed instancabilmente elaborata fino ai tempi nostri. Probabilmente, senza la fine tragica del suo assassinio, che lo colse nel momento del massimo fulgore evitandogli vecchiaia e decadenza, il mito di Cesare non si sarebbe affermato con altrettanta forza.

La mostra intende partire dal personaggio Cesare e dal suo più stretto contorno politico e culturale, toccando i momenti forti della sua ascesa al potere: gli alleati-avversari - come Crasso, Pompeo, Cicerone - , le campagne militari che gli diedero gloria e ricchezza, l'avventura egiziana e l'incontro con Cleopatra, regina d'Egitto, l'ambiente culturale e artistico romano di quegli anni; fino alla morte, avvenuta alle idi di marzo del 44 a.C., alla successione al potere nelle mani del giovane figlio adottivo Ottaviano e l'apoteosi.

La memoria e il "culto" di tale eccezionale figura non si persero mai, neppure nei secoli di decadenza dell'Impero e negli anni oscuri successivi alle invasioni barbariche in Italia. Fu però in età medievale, e particolarmente con l'avverarsi del Sacro Romano Impero (inizi IX secolo), che il mito del fondatore dell'impero riprese, tanto da additarsi nella sfera sovrastante l'obelisco vaticano l'urna cineraria del grande condottiero. Si trattò per lo più di una ripresa del mito in senso ideologico-politico, tesa a riaffermare i valori unificanti del nuovo impero carolingio. All'arte spettò il compito di illustrare tale recupero.

Specialmente a partire dal Duecento e poi dal Trecento, il recupero dell'antico si afferma anche attraverso le immagini dei grandi protagonisti della storia romana, e Cesare è ovviamente tra questi. In pieno Rinascimento i celebrati cicli ad affresco del Mantegna o di Andrea del Sarto, dedicati al dittatore romano, sono conforto e paragone per il nuovo principe e il suo imperium. Letteratura e musica celebrano i fasti di Roma come quelli di Cesare, e basterà citare a mo' di esempio il Jilius Caesar di William Shakespeare.

Il mito di Cesare e il "Cesarismo" traversano i secoli e paiono riacutizzarsi tra fine Settecento e Ottocento: l'interesse per l'antico e per i suoi protagonisti riesplode con forza nel secolo dell'Illuminismo e tra i suoi protagonisti, e basterà citare l'eredità sfociata poi nella figura e nel ruolo di Napoleone I.

Sempre nel Novecento è anche e forse soprattutto il cinema, settima arte, ad aver tenuto vivo il mito di Cesare fino a noi; tanto che dall'epoca del muto ad oggi, sono oltre cento le pellicole che lo vedono diretto o indiretto protagonista. La produzione cinematografica inerente Cesare può suddividersi sinteticamente in tre periodi: gli anni Dieci del Novecento, col suo cinema d'impianto teatrale; quella degli anni Cinquanta e Sessanta, che popolarizza le gesta di Cesare e degli antichi romani; infine gli anni delle grandi produzione hollywoodiane a Cinecittà, la via più breve per esportare oltre oceano il mito di cesare e di Roma antica.

Tra gli attori che hanno dato il loro volto a quello di Cesare, due hanno segnato nell'immaginario cinematografico i suoi tratti e il suo carattere: Louis Calhern nel "Giulio Cesare" di Joseph L. Mankiewicz, del 1953, e Rex Harrison, Cesare in "Cleopatra", dello stesso regista, girato nel 1963.

La mostra riunisce per la prima volta documenti archeologici di grande importanza e bellezza (sculture, mosaici, affreschi, gioielli, gemme, monete), provenienti dai maggiori musei italiani e stranieri (tra cui i Musei Vaticani, il Museo del Louvre, i Musei Capitolini, il British Museum, il Museo Archeologico di Napoli, lo Staatliche Museum zu Berlin, il Kunsthistorishes Museum di Vienna), insieme plastici appositamente realizzati, a ricostruire la Roma di Cesare.All'arte figurativa (circa cento dipinti tra cui Guido Reni, Roubens, Tiepolo, Hayez, Rixens) è affidata la documentazione del mito di Cesare e del cesarismo dall'età medievale al Rinascimento, da qui al Neoclassicismo e oltre; fino ai primissimi decenni del Novecento, quando il cinema, attraverso filmati d'epoca, costumi di scena e scenografie, racconta il mito più recente di Cesare.

SCHEDA TECNICA

GIULIO CESARE.
L'uomo, le imprese, il mito
Roma, Chiostro del Bramante - Via della Pace
24 ottobre 2008 - 05 aprile 2009
Intero 10,00
Ridotto martedì per tutti 7,00
Gruppi (min. 15 max 25 nella settimana) 7,00
(min. 15 max 20 nel fine settimana) 9,00
Scuole 4,50

Per i gruppi la prenotazione è obbligatoria e deve essere effettuata mediante bonifico bancario entro 8 giorni dalla data della prenotazione.

Tariffe
Gruppi prenotazione 20,00
visita guidata 80,00
E' escluso il costo del biglietto

Orario: tutti i giorni: 10.00-20.00
Sab-dom: 10.00-21.00
Lunedì chiuso (La biglietteria chiude un'ora prima)

Mostra a cura di Giovanni Gentili, Paolo Liverani, Enzo Sallustro, Giovanni Villa. Catalogo Silvana Editoriale.

Info: tel. 06.68809035

DAL COSTRUITO ALL’ARCHITETTURA SENZA CARTA

Cinquanta architetti spagnoli, appartenenti a due diverse generazioni, partecipano alla mostra Dal Costruito all’Architettura Senza Carta. Da quelli che iniziarono su carta a disegnare le loro opere con il tiralinee, a quelli che operano esclusivamente con il computer, i due gruppi sono i protagonisti del Padiglione della Spagna alla 11. Mostra Internazionale di Architettura organizzata da La Biennale di Venezia. “Il nostro paese occupa una posizione fondamentale nel pensiero architettonico mondiale e sono molti gli architetti che vengono in Spagna per documentarsi nell’arte edilizia, uno dei tratti che distinguono la nostra architettura” – dichiara Beatriz Corredor, Ministra de Vivienda (Ministro dell’Edilizia abitativa) – e aggiunge “Gli architetti spagnoli sono sempre più coscienti del loro ruolo nella costruzione di una nuova cultura della città, nella quale la qualità dell’ambiente e dell’architettura sono le prime condizioni di uno spazio di convivenza più abitabile, di maggiore coesione sociale e meno egoista nell’uso delle risorse naturali”.



Curata da due architetti, Soledad del Pino e Ángel Fernández Alba (AFA Architetti), la mostra da un lato rende omaggio a ciò che è stato edificato grazie all’opera silenziosa di una generazione di maestri dell’architettura spagnola e, dall’altro, illustra un percorso verso l’architettura “senza carta”, che mette in mostra l’opera (edificata o meno) di una nuova e meravigliosa generazione che ha trovato nel computer e nella rete web la sua fonte di espressione. In entrambi i casi, si tratta di progetti inediti per la Mostra Internazionale di Architettura, dove alcuni tra gli architetti spagnoli esposti al Padiglione sono degli assoluti esordienti nell’ambito delle manifestazioni internazionali. Dal Costruito all’Architettura Senza Carta è divisa in due sezioni: "SIN NOMBRES, LUGARES" (SENZA NOMI, LUOGHI) Sei progetti, costruiti recentemente, realizzati da riconosciuti ed affermati architetti che hanno generato, in silenzio, le loro opere in risposta a una domanda ogni giorno più complessa: una biblioteca, un insieme scultoreo di abitazioni, un centro di arti sceniche, il recupero di un’antica fabbrica per la conciatura del pellame, trasformata in dimora privata. Si tratta di opere che occupano, definiscono e conformano luoghi. Luoghi che si trasformano e fanno visibile l’invisibile, progettati da: il cantabro Juan Navarro Baldeweg, Premio Nazionale per le Arti Plastiche; i catalani Llüis Clotet, Ignacio Paricio e Joseph Llinás, l’èquipe di Olot RCR Arquitectos; i baschi dello studio IMB Arquitectos e i madrileni Víctor López Cotelo e Juan Manuel Vargas Funes. Questi ultimi sono stati insigniti del Premio Manuel de la Dehesa della VII Bienal de Arquitectura Española, ottenuto con il progetto di recupero e trasformazione in edilizia residenziale della fabbrica per la conciatura del pellame (situata a Santiago de Compostela), che verrà esposto nel Padiglione.

“Tutte le opere selezionate mostrano diverse risposte di avanguardia alla modernità architettonica, che è ancora lontana dall’essere esaurita, sebbene stia per compiere i cento anni” affermano i curatori del Padiglione. E aggiungono: “Non sono stati scelti nomi appartenenti allo “star system”: abbiamo selezionato opere appena costruite e di grande qualità, firmate da professionisti che hanno alle loro spalle un ampio percorso. Nel selezionarli, abbiamo utilizzato un criterio poetico che, applicato all’architettura, la innalza all’ambito artistico”. "ARQUITECTURA SIN PAPEL" (ARCHITETTURA SENZA CARTA) Sono esposti una serie di lavori, realizzati o meno, ideati da quindici studi di architetti – alcuni di loro molto giovani - che rappresentano il presente e il futuro dell’architettura, e in cui si cerca di sperimentare ed esplorare nuovi percorsi creativi, in diversi casi vicini all’arte. Le opere sono esposte mediante animazioni, nello stesso modo in cui si possono trovare in rete, e con un elemento in comune: l’uso del mezzo digitale come linguaggio architettonico. “Si tratta di immagini nelle quali si mescolano l’architettura con altre arti, come la fotografia, il disegno grafico etc.…” affermano i curatori.

mercoledì 16 luglio 2008

Public Improvisations

Il Corso Superiore di Arti Visive della Fondazione Antonio Ratti si sta svolgendo a Como con Yona Friedman (Budapest, 1923), architetto e teorico che vive a Parigi dal 1957. Il Corso, diretto dal 1995 da Annie Ratti, è a cura di Luca Cerizza, Anna Daneri e Cesare Pietroiusti ed è realizzato in collaborazione con l’Assessorato alla cultura del Comune di Como.La XIV edizione del CSAV ha luogo presso lo Spazio San Francesco dal 1 al 23 luglio. Il programma per i ventitrè giovani artisti internazionali, selezionati da una commissione scientifica, prevede un'attività quotidiana articolata in forma di workshop a fianco di Yona Friedman, di approfondimenti teorici proposti dai curatori interni e seminari con alcuni personaggi di spicco della scena culturale.
Dal 22 luglio è possibile vedere il progetto site-specific ideato e realizzato appositamente per la Fondazione Antonio Ratti. Friedman presenterà in anteprima mondiale una versione del nuovo progetto Musée dans la rue (2008), commissionato originariamente dalla città di Parigi, e che sarà ospitato dal prossimo autunno a Belville in forma permanente. Lo stesso giorno verrà presentato Corso Aperto, durante il quale i giovani artisti partecipanti allo CSAV esporranno nelle strade e piazze di Como e all’interno dello Spazio S. Francesco, le loro opere, progetti e documentazioni.
A Como il Musée dans la rue, pensato e realizzato da Friedman con gli studenti del corso, è la prima tappa della diffusione del progetto in diverse città europee. Ogni Musée dans la rue è un agglomerato di cubi e parallelepipedi di plexiglass trasparente sovrapposti uno sull’altro. Distribuiti in due spazi pubblici della città, diversi per identità storica e sociale, questi musei di strada saranno come delle superfici libere, completamente a disposizione di chiunque desideri lasciarvi un segno. Come sempre nel suo lavoro, Friedman ha disegnato una semplice struttura di base che dovrà essere attivata, modificata e completata dall’intervento dell’utente. Musée dans la rue è una piattaforma pubblica, uno spazio aperto che interroga l’idea stessa di museo, di luogo pubblico e di partecipazione sociale. L’intervento è localizzato in Piazza Cavour e all’Asilo Sant’Elia di Terragni. Questi due luoghi, esemplari di diversi aspetti storici e sociali della città, ospiteranno diverse versioni del museo, realizzate con caratteristiche strutturali e materiali differenti: il plexiglass trasparente e il cartone, come nel caso dell’asilo, visto da Friedman come palestra di improvvisazione e creazione continua. In questo importante esempio di architettura razionalista, Friedman incoraggerà i bambini ad utilizzare le forme da lui progettate in assoluta libertà.Per completare la realizzazione del progetto di Piazza Cavour, la Fondazione Ratti ha promosso tra i cittadini di Como una raccolta di oggetti di diverse forme e tipologie che diventeranno i contenuti del museo progettato da Friedman.
Come spiega Friedman “L’arte può essere considerata come un’espressione dell’individuo in relazione con la comunità, ed è sempre indirizzata a qualcuno. Un’opera d’arte trasmette un messaggio, senza includere i codici per la sua comprensione. Il messaggio potrebbe essere anche solo per l’artista. Tutti hanno qualcosa da trasmettere, quindi siamo tutti potenziali artisti. Non esiste un oggetto che non possa essere considerato opera. Dobbiamo aiutare chiunque senta il bisogno di diventare artista a trovare un codice tecnicamente semplice per il proprio messaggio e questi codici hanno la caratteristica di essere improvvisati. L’arte inizia con l’improvvisazione, così come l’intelligenza. Durante il seminario Public Improvisations esploreremo l’improvvisazione, le tecniche semplici, che non necessitano istruzioni, disegni o piani complicati, perché l’arte, per essere accessibile al pubblico generale, deve utilizzare tecniche semplici, facili da adottare. L’arte pubblica improvvisata può essere esplorata ovunque negli spazi pubblici: nelle strade, nei boschi, in un atrio, sul lago. Il luogo stesso è parte dell’opera d’arte”.
Nato in Ungheria nel 1923, Friedman vive a Parigi dal 1957. Architetto e teorico, ha studiato a Budapest e alla Technion di Haifa. Nel 1956, in occasione del X International Congress of Modern Architecture (ICMA) a Dubrovnik, la pianificazione razionale del movimento moderno fu messa in discussione proprio dal suo approccio universalista, e dalla sua fiducia nell’individuo. Nel dicembre 1958, Friedman ha fondato il Groupe d’Études d’Architecture Mobile (GEAM), che, fino al 1962, si è dedicato ad adattare l’architettura ai cambiamenti prodotti dalla vita moderna. Si è affermato internazionalmente con il manifesto L’Architecture mobile (1958) e il concetto di Ville spatiale. Attraverso la teoria delle “superstrutture” pensate sopra città e paesaggi, ha sempre inteso fornire alle persone il sapere e gli strumenti per determinare il proprio contesto abitativo. Friedman rivendica inoltre la possibilità di combinare un approccio analitico con uno olistico. Tra i suoi testi ricordiamo: Towards a Scientific Architecture (1975), A Better Life in Towns (1980), Utopie realizzabili (2003), Pro Domo (2006). Ha partecipato a mostre internazionali come la Biennale di Venezia e Documenta e le sue opere sono presenti nelle collezioni dei più importanti musei internazionali. Tra gli ultimi eventi realizzati, va segnalato un progetto specifico per il Mart di Rovereto, nel 2006. Sue mostre personali hanno avuto luogo quest’anno a Bordeaux (arc en rêve CAPC) e al Portikus di Francoforte.
La mostra di fine Corso e le pubblicazioni di tutto il lavoro svolto durante il CSAV (edite da Mousse e Charta) saranno presentate a Milano nel dicembre 2008, in collaborazione con DOCVA, Neon fdv, Artegiovane Milano. In questa occasione una giuria segnalerà i tre vincitori del Premio Epson FAR per la ricerca artistica, giunto alla terza edizione.
I Visiting Professor degli anni scorsi sono stati: Joseph Kosuth (1995), John Armleder (1996), Allan Kaprow (1997), Hamish Fulton (1998), Haim Steinbach (1999), Ilya Kabakov (2000), Marina Abramović (2001), Giulio Paolini (2002), Richard Nonas (2003), Jimmie Durham (2004), Alfredo Jaar (2005), Marjetica Potrč (2006), Joan Jonas (2007). InformazioniXIV Corso Superiore di Arti Visive Visiting professor Yona FriedmanDate del Corso 1 – 23 luglio 2008Presso lo Spazio S. Francesco Largo Spallino 1, Como Italia 22 luglio 2008, ore 17 Corso Aperto – allievi del CSAV Spazio S. Francesco, Como Musée dans la rue – presentazione del progetto a cura di Yona Friedman e degli allievi del CSAVPiazza Cavour, Porta Torre, Asilo Sant’Elia.

Fondazione Antonio Ratti Public Improvisations XIV Corso Superiore di Arti VisiveComo, 1 – 23 luglio 2008 Visiting professor Yona Friedman 22 luglio 2008 Corso Aperto – gli allievi in mostra Spazio S. Francesco - Como 22 luglio - 19 agosto Musée dans la rue – progetto site-specific, Yona Friedman 3 spazi pubblici - Como