lunedì 29 settembre 2008

FESTIVITA’ SANT’EUSTACHIO 20 SETTEMBRE 2008

BASILICA DI SANT’EUSTACHIO IN CAMPO MARZIO 20 settembre 2008
GALLERIA VIA METASTASIO 15 – ARTISTA: SIDIVAL FILA – fino al 31 ottobre 2008


Dopo un’interruzione di ventisette anni, il 20 settembre 2008 è stata nuovamente celebrata la Festività di Sant’Eustachio nella Basilica del Santo Patrono.


La storia del Santo è tramandata da varie leggende che sottolineano la centralità della conversione alla fede cristiana dell’uomo e della sua famiglia.

Placido, così si chiamava prima della conversione, nacque verso la metà del primo secolo dopo Cristo. Nobile patrizio romano, dedito all’arte delle armi, raggiunse nell’esercito romano l’elevato grado di magister militum e, in quanto tale, venne chiamato dall’imperatore Traiano al comando di una legione inviata per operazioni militari in Asia minore dove si distinse per il suo eroismo.

Secondo la leggenda, durante una battuta di caccia, Placido vide brillare tra le corna di un cervo, una croce: profondamente colpito si convertì e con lui aderirono al cristianesimo la moglie Teopista e i figli Teopisto e Agapito e tutta la famiglia ricevette il battesimo. Placido, in quell’occasione prese il nome di Eustachio.

Colpito da sventura, probabilmente a causa delle gravi difficoltà alle quali l’intera famiglia dovette far fronte in seguito alla conversione, Eustachio perse tutti i suoi beni e fu costretto ad abbandonare Roma, rifugiandosi in Egitto, dove gli vennero rapiti anche moglie e figli.

Trascorsi alcuni anni, essendosi riaccesi i problemi di potere in Asia minore, l’imperatore Traiano fece cercare l’eroico generale perché combattesse nuovamente a capo delle milizie romane. Eustachio riprese il comando e riportò splendide vittorie, tanto da essere accolto in trionfo a Roma, dove ritrovò, con sua grande gioia, i familiari dispersi. Ma il successore di Traiano, l’imperatore Adriano, di fronte alle accuse che venivano rivolte a Eustachio di essere cristiano, gli ordinò di offrire un sacrificio agli dei di Roma. Al suo rifiuto lo condannò, insieme con la moglie e i figli, al supplizio della morte all’interno di un contenitore di metallo arroventato a forma di toro.Le spoglie del santo sono custodite, tuttora, in un sarcofago di porfido, posto sotto l’altare maggiore della basilica, mentre parte delle reliquie sono conservate nella chiesa parrocchiale di St-Eustache a Parigi.

Il ripristino della Festività di Sant’Eustachio è stato fortemente voluto dal Rettore della Basilica Monsignor Antonio Menegaldo e dalla Consigliera alle Relazioni Esterne per il Sindaco di Roma Valeria Mangani a cui si è unito l’impegno della Galleria Via Metastasio 15 che per l’occasione ha presentato le opere dell’artista brasiliano Fra Sidival Fila, esposte in contemporanea anche nella sala della Galleria fino al 31 Ottobre.

L’evento sottolinea il desiderio della comunità romana di dare nuovo valore alle antiche tradizioni di Roma riproponendo l’importanza culturale e sociale delle feste rionali in cui ente politico ed ente religioso trovano un nuovo momento d’incontro. Momento culminante dell’evento è stata infatti la consegna da parte del Vicesindaco di Roma Mauro Cutrufo del calice eucaristico al Rettore della Basilica di Sant’Eustachio.

All’iniziativa realizzata da Bianca Alfonsi, Alessia Montani e Umberto Ciauri hanno aderito il Gruppo SFIR, l’antico Caffè Sant’Eustachio, Michele di Rienzo al Pantheon e la Cantina di vini Camponeschi; con la collaborazione della MORorg srl.

Fra Sidival Fila
Nasce in Brasile nel 1962 nello stato del Paranà. Nel 1985 si trasferisce in Italia dove entra a far parte della famiglia religiosa dei frati minori di San Francesco d’Assisi. La sua produzione artistica propone il recupero di diversi materiali poveri come base per la realizzazione di quadri scultura di notevoli dimensioni. Legno, ferro, carta, vecchi tessuti e materiali sono accostati ai colori rispettando un voluto rigore compositivo e formale. Su ogni opera è possibile ritrovare il connubio tra materiale e spirituale: alla forza espressiva dei materiali si aggiunge infatti la relazione con la luce atmosferica che vi trasferisce infinite vibrazioni. Ogni tela diventa la ricerca di un equilibrio, lo spirito e il corpo racchiusi all’interno di carta, metallo, legno, vecchie tele, acrilici e foglia d’oro.

Nel 2007 ha esposto la sua prima mostra personale nel convento di S. Bonaventura di Frascati.
Nel 2008 ha partecipato con la Galleria Via Metastasio 15 al Festival dei due Mondi di Spoleto.

Giorgia Simoncelli

mercoledì 17 settembre 2008

Guido Ravasi il signore della Seta



26 settembre – 8 dicembre 2008


Fondazione Antonio Ratti, Como




Il Museo Studio del Tessuto della Fondazione Antonio Ratti inaugurerà il 26 settembre 2008 una mostra dedicata a Guido Ravasi (Milano 1877 - Como 1946), creatore nella prima metà del Novecento di straordinarie sete operate e stampate, con le quali partecipò alle Biennali di Monza degli anni Venti e all’Esposizione Internazionale di Parigi del 1925. La mostra, che sarà aperta al pubblico sino all’8 dicembre 2008 presso la FAR, è a cura di Margherita Rosina e Francina Chiara, rispettivamente direttrice e curatrice del MuST. L’evento è patrocinato dalla Regione Lombardia e dalla Provincia di Como.


Il MuST possiede una ricchissima collezione di tessuti e album campionario della produzione di Ravasi, che costituiranno la base della mostra insieme a importanti reperti provenienti dagli archivi del Museo Didattico della Seta di Como, che collabora all’iniziativa. La figura di Guido Ravasi, artista-imprenditore che contribuì a diffondere la fama delle sete comasche nel mondo, verrà indagata seguendo i vari filoni della sua produzione: dalle “sete d’arte” ai tessuti per cravatteria, dai leggeri stampati creati per le principali sartorie milanesi degli anni Venti, al famoso piviale realizzato per il Pontefice Pio XI, che uscirà per la prima volta dalla Sacrestia della Cappella Sistina e sarà restaurato per l’occasione dall’Istituto Centrale per il Restauro di Roma. Altri prestiti importanti di tessuti inediti provenienti da collezioni italiane e straniere andranno a completare il quadro della prima monografica dedicata a Guido Ravasi. La mostra si articolerà in sezioni, nelle quali i materiali saranno organizzati in base alla destinazione d’uso. Un primo gruppo, le “sete d’arte”, raccoglierà la parte più spettacolare dei tessuti creati da Ravasi, con disegni dalla forte impronta orientale prodotti in innumerevoli varianti di colore. Foto degli anni Venti, eseguite dal famoso fotografo milanese Sommariva, illustreranno le sedi nelle quali furono esposti, restituendoci il gusto del periodo.


La seconda sezione sarà dedicata alle committenze prestigiose, Chiesa e Stato. Ravasi fu tra i fornitori del Vaticano. Per la chiusura della Porta Santa, in occasione del Giubileo del 1925, l’artista-imprenditore donò al Pontefice Pio XI uno splendido parato di estrema leggerezza, conservato presso la Sacrestia della Cappella Sistina. In occasione del matrimonio di Maria José del Belgio con il principe ereditario Umberto di Savoia, Ravasi realizzò un raso operato a grandi motivi d’oro, che sarà presente in mostra, destinato probabilmente alla fodera del manto nuziale. Come molti industriali del suo tempo, Ravasi intrattenne anche rapporti con il regime fascista, testimoniati da tessuti, sia operati che stampati, la cui vicenda verrà ricostruita attraverso inediti documenti rinvenuti all’Archivio Centrale dello Stato di Roma. La cravatteria e l’abbigliamento maschile saranno il fulcro della terza sezione. Como negli anni tra le due guerre fu una delle protagoniste europee nel campo della cravatteria, con studi di disegno importantissimi come quelli di Gualdo Porro, vincitore nel 1927 del premio internazionale “Salterio” per la migliore cravatta del mondo. La produzione in questo ambito di Ravasi mostra una modernità di disegno sorprendente, tale da renderla interessante anche per i designer contemporanei. L’ultima parte della mostra sarà dedicata al rapporto tra Ravasi e la moda. I suoi legami con le più importanti sartorie milanesi degli anni Venti e Trenta sono poco conosciuti, ma saranno qui documentati dalle riviste dell’epoca. Verranno esposti i tessuti da lui creati e i figurini di moda che rappresentano il risultato di questa collaborazione, assieme a un abito prestato dalle Civiche Raccolte di Arte Applicata del Castello Sforzesco di Milano.Infine, l’esposizione Guido Ravasi il signore della Seta sarà l’occasione anche per far luce sui complessi rapporti che legarono Ravasi a una serie di figure di rilievo del Novecento: dallo scenografo Mario Cito Filomarino e il pittore Piero Persicalli al gioielliere Alfredo Ravasco, per giungere ai più importanti esponenti del panorama della cultura italiana tra le due guerre.


Il catalogo, pubblicato dalla casa editrice Nodo libri di Como, sarà corredato dalle schede a colori dei tessuti esposti, illustrati a piena pagina e comprenderà la biografia del personaggio, un saggio sulla sua produzione tessile e contributi sul suo rapporto con la moda e i legami con il mondo culturale italiano. Informazioni Titolo della mostra: Guido Ravasi il signore della Seta Sede: Fondazione Antonio Ratti, Lungo Lario Trento 9, Como Progetto e curatela: Margherita Rosina, direttore MuST e Francina Chiara, curatore MuSTIn collaborazione con: Museo Didattico della Seta, Como Inaugurazione: 26 settembre 2008, ore 19.00, Fondazione Antonio Ratti Date: dal 27 settembre all’8 dicembre 2008




Orari: dal martedì al venerdì dalle 16.00 alle 19.00 – sabato e domenica dalle 11.00 alle 19.00




Ingresso: gratuito Catalogo: Nodo libri, Como Informazioni: MuST – Museo Studio del Tessuto della FAR, tel. + 39 031 233224




Ufficio stampaIlaria Gianoli +39 333 6317344






Teresa Saibene +39 031 233211


Giulio Cesare. L'uomo, le imprese, il mito

Roma, Chiostro del Bramante
23 ottobre 2008 - 3 maggio 2009
In mostra al Chiostro del Bramante anche la mitica urna delle ceneri di Cesare.
Per la curiosità di molti, alla mostra "Giulio Cesare. L'uomo, le imprese, il mito" in preparazione al Chiostro del Bramate (dove aprirà i battenti il prossimo 23 ottobre) sarà esposto anche un mitico globo. E' quello che, secondo la tradizione, avrebbe conservato le ceneri di Cesare poste sulla punta dell'obelisco egizio che attualmente domina Piazza San Pietro. Verrà esposto come simbolo del mito di Cesare e delle infinite storie e leggende che nei secoli si sono sedimentate sul grande personaggio. L'antico manufatto è conservato oggi nei Musei Capitolini, sfregiato, tra l'altro, dai segni delle archibugiate infertegli dai Lanzichenecchi durante il Sacco di Roma del 1527."Col tempo, afferma Giovanni Gentili che con Paolo Liverani, Enzo Sallustro e Giovanni Villa cura l'imponente mostra in via di approntamento al Chiostro del Bramante, capita anche che dallo stesso mito siano stati permeati luoghi e monumenti che nulla hanno avuto a che fare, direttamente o indirettamente, con la persona e le varie vicende di Cesare; ed è questo un ulteriore segno della sua fama imperitura.Esemplare in questo senso è la leggenda cesariana legata al celebre obelisco egizio che si erge maestoso ancora oggi in piazza San Pietro, proveniente dal vicino circo di Nerone-Caligola in Vaticano.Trasportato dall'Egitto per volontà dell'imperatore Caligola nel 37 d.C. come principale elemento decorativo della spina per il circo, l'obelisco era stato realizzato per Nencoreo, faraone della XII dinastia (1991-1786 a.C.) e collocato ad Heliopolis, città dalla quale Giulio Cesare lo fece trasferire ad Alessandria, capitale ellenistica dell'Egitto dei Tolomei, per adornare la città di Cleopatra. Con tale simbolo eretto a Roma, Caligola si univa idealmente all'iniziatore dell'impero; tuttavia egli non riuscì a vedere completato il circo, che fu portato a termine da Nerone e che fu anche teatro del martirio di S. Pietro nel 64. Il primo papa della chiesa cristiana fu sepolto lì a fianco, nel luogo dove già sorgeva una necropoli, poi occultata dai lavori per la realizzazione della prima basilica di S. Pietro, al tempo dell'imperatore Costantino. L'obelisco però rimase fuori dal perimetro dell'edificio e fu lasciato al suo posto - nei pressi dell'attuale Aula Nervi -, col suo globo bronzeo dorato e l'iscrizione, poi perduta, che rimandava a Cesare.Nel corso del Medioevo il monumento, impostosi per l'attiguità alla mèta di migliaia di pellegrini, venne chiamato l'aguglia e la probabile suggestione data allo stesso dalla vicinanza della sepoltura di S. Pietro, portò a vedervi un monumento funerario, ovviamente di un "Grande": il grande globo posto sulla sommità dell'obelisco altro non sarebbe stato che l'urna cineraria di Gaio Giulio Cesare, di cui si sapeva, attraverso le fonti letterarie, della cremazione, avvenuta tra i tumulti poco dopo l'assassinio.La leggenda divenne parte integrante delle notizie raccontate ai visitatori della basilica ed il monumento additato come tomba di Cesare nei Mirabilia Urbis Romae, tanto da essere ancora vivo nella memoria culturale della stessa popolazione romana fino alla fine del XVI secolo, quando papa Sisto V Peretti, fiero avversario di ogni superstizione e diffidente della considerazione quasi religiosa per il globo, decise di porre fine alla medesima.Si decise allora, nel progetto di ampliamento e nuovo allestimento di piazza S. Pietro, lo spostamento dell'obelisco al suo centro, dove veniva a rappresentare, nel solco del significato simbolico dell'oggetto, l'autorità cristiana. L'impresa titanica delle complesse operazioni di trasferimento e nuovo innalzamento dell'obelisco al centro della piazza è descritta dal suo organizzatore, l'architetto Domenico Fontana, nel libro Della Trasportatione dell'Obelisco Vaticano et delle Fabriche di Nostro Signore Papa Sisto V, edito nel 1590. Parte integrante dei lavori, realizzati nel 1586, è stata la rimozione dell'antico globo dorato e quindi della fine della leggenda popolare: la sfera fu aperta e trovata vuota e al suo posto sull'obelisco fu issata una croce bronzea contenente una reliquia della "vera Croce".

martedì 16 settembre 2008

Georges Seurat, Paul Signac e i neoimpressionisti

Apre a Milano la prima grande retrospettiva realizzata in Italia e dedicata al neoimpressionismo, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana e promossa dal Comune di Milano – Cultura. Con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, del Ministero degli Affari Esteri, della Regione Lombardia, della Provincia di Milano, dell’Ambasciata di Francia in Italia e con la partecipazione del Musée d'Orsay, la mostra è prodotta da Palazzo Reale e da Arthemisia.

A cura della studiosa francese Marina Ferretti Bocquillon, "Chargée de Mission" al Musée d'Orsay di Parigi e con importanti incarichi museali in Francia, la mostra s’incentra sulle figure di Georges Seurat e Paul Signac, presentando una scelta di loro straordinari dipinti provenienti dai più importanti musei del mondo (tra cui il Musée d'Orsay di Parigi, il Metropolitan e il Guggenheim Museum di New York) ed è pensata per far scoprire al pubblico le due personalità artistiche nel rispettivo ruolo e nel fondamentale contributo che diedero alla nascita e allo sviluppo del neoimpressionismo, diffusosi rapidamente soprattutto in Francia ed in Belgio.

La storia del neoimpressionismo inizia nel 1884, quando i due artisti si incontrano per la prima volta, e la mostra evidenzia la loro evoluzione fino alla nascita del movimento, durante l’inverno 1885-86.
La Seine à Courbevoie è l’opera dipinta da Seurat nel momento in cui le sue ricerche segnano un vero e proprio traguardo artistico, dopo i numerosi studi eseguiti nell’isola della “Grande Jatte”. Ed è proprio in quel momento che il pittore mette in pratica il principio fondamentale della divisione del colore, secondo il quale, ponendo sulla tela piccoli tocchi di colori puri, viene lasciata alla retina dello spettatore il compito di operare, in una visione a distanza, la mescolanza dei toni cromatici.
Il neoimpressionismo è nato e la nuova tecnica, applicata con più o meno rigore, conosce un’ampia diffusione fino alla morte di Seurat nel 1891. Durante gli ultimi venti anni del movimento, dal 1891 al 1910, è soprattutto sotto l’impulso di Signac che la tecnica neoimpressionista si libera maggiormente ed evolve verso un’espressione sempre più intensa del colore.

Il percorso della mostra è organizzato secondo uno sviluppo tematico in sette sezioni che colloca le opere nel loro contesto storico, e offre altresì una coerenza cronologica che consente di seguire l’evoluzione stilistica del neoimpressionismo. Inoltre, un’opera italiana, divisionista o prefuturista (tra cui dipinti di Balla, Previati, Russolo, Longoni), completa ogni sezione in cui è diviso il percorso, per sottolineare la confluenza degli interessi artistici europei durante quel periodo, particolarmente ricco d’innovazioni estetiche.

Sezioni della mostra:

1 - Seurat e Signac prima del neoimpressionismo
Di formazione e temperamento opposti, Seurat e Signac si conoscono nel 1884 durante la prima mostra del gruppo degli “Artistes Indépendants” a Parigi. Georges Seurat (1859-1891) ha ventiquattro anni e cerca leggi sicure che regolino il concetto di bellezza in quanto ai suoi occhi “l’arte è armonia”.
È l’anno in cui Seurat, formatosi all’Ecole des Beaux-Arts, espone la sua prima grande composizione Une baignade. Asnières (1884, Londra, National Gallery), nella quale conferisce ad una scena di vita moderna le dimensioni di un quadro storico. Le opere del giovane Seurat si distinguono subito per una geometria insistente, e negli studi si può notare, sin dal 1882-83, una “mise en place” dai tocchi regolari come in Paysan à la houe (1882) e Paysannes au travail (1882-83) (entrambi dal Solomon R. Guggenheim Museum di New York), che rendono uniforme e unitaria l’insieme della superficie.
Paul Signac (1863-1935) ha vent’anni e dipinge da autodidatta, dopo essere rimasto affascinato da una mostra di Monet, per cui molto presto assimila la tecnica impressionista. La libertà offerta dal lavoro “en plein air”, l’amore per una luce ed un colore scintillanti, corrispondono alla sua sensibilità. Tutto ciò però non gli impedisce di privilegiare, come Seurat, le composizioni frontali e ben orchestrate che limitano gli effetti prospettici ed affermano la superficie della tela. Tanto Seurat è riservato, quanto Signac è estroverso e preso dalla passione per il colore. Sicché toccherà a lui, chiamato ben presto il “San Paulo” del neoimpressionismo, diffondere e divulgare la teoria della divisione dei toni.
Nonostante le differenze, i due artisti, divenuti amici, condividono il gusto del rigore, della modernità e soprattutto l’ambizione di essere innovativi. Vogliono essere obiettivi scegliendo di descrivere il mondo moderno, secondo il linguaggio che gli è proprio ovvero nuovo e scientificamente all’avanguardia. Si interessano quindi ai trattati di ottica ed allo studio della percezione dei colori.

2 - Periferie
Nel corso della seconda metà del XIX secolo, Parigi, come la maggiore parte delle grandi città europee, si espande e nella periferia i neonati quartieri residenziali confinano con le zone industriali. Questo nuovo paesaggio fa si che i parigini ricerchino nuovi svaghi sulle rive della Senna.
Appassionato di vela, Signac, scopre ad Asnières, dove vive la madre, contemporaneamente le gioie della navigazione e quelle della pittura “en plein air”. Sempre ad Asnières, Seurat inizia nel 1883 la sua prima composizione: Une baignade. Poco lontano si trova l’isola della Grande Jatte, dove i parigini si recano a passeggiare, ed è questo il luogo che l’artista sceglie per dipingere il quadro considerato l’icona del neoimpressionismo, Un dimanche après-midi à l’île de la Grande Jatte (1884-86, Art Institute of Chicago). Iniziato nel 1884, il quadro viene ripreso e modificato da Seurat, nel corso dell’inverno 1885-1886, raggiungendo una divisione sistematica dei toni.
Signac non perde tempo e subito dopo, nel marzo-aprile 1886, dipinge Les Gazomètres de Clichy, (Melbourne, National Gallery of Victoria) il suo primo paesaggio rigidamente neoimpressionista. Nel maggio 1886, espongono quindi entrambi, con Camille e Lucien Pissarro all’ottava ed ultima esposizione impressionista, presentando le loro prime opere “neoimpressioniste” intorno a Un dimanche après-midi à l’île de la Grande Jatte. Rapidamente il neoimpressionismo si diffonde in Francia e in Belgio, con sempre più numerosi emuli, sedotti, se non dalla portata scientifica, sicuramente dalla novità del procedimento.

3 - Le stagioni e i lavori
I giovani pittori neoimpressionisti hanno ereditato dai fratelli maggiori impressionisti un gusto spiccato per l’analisi e la traduzione della luce dell’Ile de France. Spesso privi di presenze umane, i paesaggi di Camille Pissarro, d’Albert Dubois-Pillet e di Henri Edmond Cross, dei belgi Henry van de Velde o Théo van Rysselberghe e dell’olandese Jan Toorop, si organizzano secondo una geometria semplice in cui lo studio della luce diventa il vero e proprio soggetto del quadro. Queste tele esprimono una poesia distaccata, quasi astratta, e possono riassumersi in un’armonia cromatica più o meno sfumata secondo il temperamento dell’artista. Significativi in tal senso Briqueterie Delafolie à Eragny (1888) di Pissarro e Paysage avec maronnier (1889, Dordrechts Museum) di Toorop.
Tuttavia, nelle opere di alcuni pittori appare una preoccupazione d’ordine sociale: il belga Costantin Meunier è un precursore in questo campo, seguito da Georges Morren, e in Francia, da Maximilien Luce che diventa il poeta del mondo operaio.

4 – Seurat, Signac: marine
Grazie allo sviluppo della ferrovia, i parigini scoprono il fascino delle spiagge normanne e bretoni. Come Monet, anche Seurat e Signac trascorrono di solito l’estate in riva al mare e se nei mesi invernali, Seurat nel suo atelier si dedica alle grandi composizioni che chiama “Immagini di lotta”, in estate lavora alle Marine.
Marine che sono spesso un puro studio di linee e di colore e che costituiscono un punto fra i più alti dell’arte di Seurat e Signac. Entrambi danno libero corso alla passione per l’analisi della luce e allo sviluppo degli accordi cromatici particolarmente raffinati, in cui la piccola pennellata fa vibrare la superficie della tela come in Port-en-Bessin, avant port, marée haute del 1888 (Parigi, Musée d’Orsay) e in Le chenal de Gravelines: un soir (1890, New York, The Museum of Modern Art) di Seurat. La purezza formale di queste immagini conferisce loro una poesia quasi musicale e, infatti, non contento di attribuire ai suoi quadri un numero “d’opus”, Signac li ha spesso sotto-titolati evocando il ritmo di una partitura, come “l’allegro maestoso” di Concarneau: Calme du soir (New York, The Metropolitan Museum of Art, Lehman Collection).

5 - La città
La Parigi di fine Ottocento è un immenso cantiere. Dopo aver visto il tessuto urbano rimodellato dal prefetto Haussmann, i parigini assistono al completamento della ristrutturazione delle Halles e alla costruzione della Tour Eiffel.
Ma, per gli artisti, Parigi evoca principalmente l’atelier, quello in cui le modelle posano e dove sono elaborate le composizioni più ambiziose perché i pittori neoimpressionisti hanno un approccio del tutto diverso da quello impressionista. Tramite disegni, studi dipinti e schizzi procedono con un lavoro progressivo, riannodando così con le tradizioni della pittura classica.
Parigi è comunque un luogo di svaghi e di ritrovi e gli artisti s’incontrano nei caffè, frequentano locali notturni ed assistono a spettacoli alla moda: il circo, il cabaret e soprattutto il “Can-can”, come testimoniano i due più importanti studi di Seurat, eccezionalmente in mostra, Studio per Le Chahut, 1889-90 (London, Courtauld Institute of Art) e Le Chahut Etude, 1889 (Buffalo, Albright-Knox Art Gallery) mentre Louis Hayet dipinge per esempio, e sono anch’essi in mostra, Au café e La Halle aux blés.
Di notte poi, l’illuminazione a gas dà un nuovo viso alla capitale e il pittore Angrand è il primo a studiarne gli effetti, mentre la poesia notturna delle grandi città con i lampioni accesi seduce particolarmente Maximilien Luce, di cui vediamo Quai de l'Ecole. Paris le soir del 1889. La città è infine il luogo delle mostre, tuttavia i giovani pittori rifiutano di sottoporre le loro opere alla Commissione del “Salon Officiel (esposizione annuale che si teneva nella Parigi ottocentesca i cui organizzatori controllavano l’intero settore artistico) ed espongono in alternativa sia al “Salon des Artistes Indépendants” di Parigi sia al “Cercle des XX” di Bruxelles.

6 - Ritratti
La figura umana è il soggetto più rappresentato nella storia della pittura occidentale. I pittori neoimpressionisti affrontano questo tema sia nelle loro grandi composizioni sia nei numerosi ritratti, per lo più dei loro familiari: Héloïse Signac, madre dell’artista, è ritratta nella La Salle à manger (1886-87), di cui è esposto un mirabile studio, e vediamo la sua compagna, Berthe Roblès, in Femme sous la lampe (Parigi, Musée d'Orsay) e in Femme se coiffant. Lucien Pissaro dipinge il giovane fratello Georges al lavoro, come si vede ne L'Atelier de l'artiste. Portrait de son frère (1887, Indianapolis Museum of Art). AncheThéo Van Rysselberghe ci ha lasciato numerosi ritratti, tra cui, splendidi, quelli della figlia Elisabeth e dell’amico Emile Verhaeren (1892, Bruxelles, Bibliothèque Royale de Belgique), poeta e difensore della causa neoimpressionista. Georges Lemmen ci ha consegnato invece, da ammirare ora in mostra, il meraviglioso dipinto delle piccole Serruys, Les Soeurs Serruys (1894, Indianapolis Museum of Art) sorelle della sua allieva, la pittrice Yvonne Serruys.

7 - Dopo Seurat: marine
Dopo la morte di Seurat nel 1891, Signac è a capo del neoimpressionismo. Lo stesso anno, Cross si stabilisce nel Sud della Francia dove vive come un eremita a Cabasson. Nel 1892 Signac scopre intanto Saint Tropez e decide di trascorrervi parte dell’anno e viene qui raggiunto da numerosi amici.
La sua tecnica evolve nel giro di qualche anno verso una maggiore libertà: nel 1895 il tocco si espande ed il colore viene rafforzato. Le sue opere assumono la forma di mosaici e guadagno in forza e in semplicità; Saint-Tropez. L'orage (1895, L’Annonciade, Musée de Saint-Tropez), qui esposto, ne è un chiaro esempio. D’altro canto, sia Clocher de Saint-Tropez (1896, Toulouse, Fondation Bemberg), sia la furia colorata del bellissimo Voiles et pins (1896) sono testimoni di questa evoluzione: lo studio del colore puro primeggia sull’analisi della luce ed annuncia oramai il Fauvismo. Nel 1899, Signac pubblica il volume D’Eugène Delacroix au néo-impressionnisme che spiega gli elementi propulsivi della tecnica divisionista e li integra in una prospettiva storica. Questo trattato (presente in mostra), tradotto in tedesco e spesso ripubblicato, sarà letto ed avrà un grande impatto su un’intera generazione di pittori con la passione per i colori e per le teorie estetiche, tra cui in particolare Wassily Kandinsky. Matisse soggiorna a Saint Tropez nel 1904 e pratica, seppur per poco tempo, la divisione dei toni e lo stesso anno Mondrian lavora presso Toorop a Domburg nei Paesi Bassi.
A Parigi, Balla (in mostra Agave sul mare del 1905) e Severini s’interessano anch’essi, affascinati, alla teoria e alla tecnica della divisione e del colore puro. Alla morte di Cross nel 1910, Signac rimane l’ultimo rappresentante del primo neoimpressionismo. Dipinge d’ora in poi sempre meno ad olio e pratica sempre più la tecnica dell’acquarello. Una nuova storia inizia, quella delle avanguardie del XX secolo.

La fotografia del colore e la teoria del colore
Nel percorso della mostra, due sezioni specifiche sono dedicate rispettivamente alla fotografia a colori, a cura di Silvana Turzio, e all’approfondimento delle teorie del colore, a cura di Francesca Valan.

Fin dal 1860 alcuni fotografi sperimentatori si ispirano alla “miscela ottica” e alla teoria del “contrasto simultaneo”, studiati da Eugène Chevreul, individuando soluzioni interessanti, ma occorre aspettare l’inizio del Novecento perché si concretizzi il sogno della “fotografia del colore”: l’autocromia, messa a punto dai fratelli Lumière. Le straordinarie autocromie esposte in questa sezione, provenienti dalla collezione della Société française de photographie, sono state scelte tra quelle prodotte nei primissimi anni della loro diffusione e tra quelle che più si avvicinano ai quadri neoimpressionisti sia per i soggetti che per la ricerca estetica.
Nella sezione dedicata alle teorie del colore è possibile invece realizzare veri e propri esperimenti visivi ideati e documentati dallo stesso Chevreul; esercizi che aiutano a "vedere" le vibrazioni luminose e a capire la ricerca dei neoimpressionisti. Alcuni esperimenti visivi si possono altresì effettuare lungo il percorso della mostra, di fronte ai quadri, in modo da comprendere a fondo la tecnica dei pigmenti puri composti direttamente sulla tela e i diversi stili di pennellata. Al termine del percorso, ogni visitatore potrà altresì partecipare alla divertente interpretazione collettiva del grande capolavoro di Seurat Un dimanche après-midi à l’île de la Grande Jatte, posando sulla traccia grafica del dipinto un pallino adesivo colorato ovvero il proprio "puntino" cromatico.

Catalogo Skira

Giovedì 9 ottobre 2008
Vernice stampa - conferenza stampa presso la Sala delle Otto Colonne ore 11.30
Inaugurazione ore 18.30
Palazzo Reale, Piazza Duomo 12, Milano

mercoledì 10 settembre 2008

ANTONIO DEL DONNO

Vernissage: mercoledì 10 settembre 2008, ore 18:00
Margutta RistorArte, Via Margutta 118 - Roma

Mercoledì 10 settembre 2008 alle ore 18:00, Tina Vannini presenta al Margutta RistorArte la mostra personale di Antonio Del Donno, organizzata dalla Horti Lamiani- Bettivò e curata da Giorgia Calò. L'esposizione presenta una selezione di opere dell'artista realizzate dagli anni Sessanta ad oggi. . Nella società dello spettacolo, una società capace di bruciare i segni e i gesti più significativi, Antonio Del Donno - artista italiano "classicamente moderno", come lo definisce Achille Bonito Oliva - trasforma i segni in messaggio. Il mezzo, la tela, diviene il messaggio mediante parole, gesti informali e frasi campite su colori accesi che diventano canali di trasmissione. E, del tutto coerente, è lo sbocco della pittura di Del Donno prima nel collage, poi nella grafica, ed infine in una ricerca del visivo fondata sul rapido consumo dell'oggetto. A conferma di questa poetica visuale l'uso di colori contrastanti, violentemente dissonanti, laddove la pennellata a volte è più decisa a volte meno. Sono proprio le infinite proposte cromatiche a catturare lo sguardo del pubblico: il colore che, mediante pennellate vibranti, diviene esso stesso materia. Ma anche la linea ha un ruolo fondamentale nella pittura di Del Donno. Dopo cinqunata anni di attività la sua ricerca artistica è ancora dominata dalla linea, tirata sempre con la stessa energia e vissuta sempre alla ricerca di nuovi linguaggi. In nessun lavoro di Del Donno (eccetto le fotografie) compaiono figure umane. In realtà le sue opere sono popolatre di persone: è lo spettatore stesso, che fruisce e consuma l'opera attraverso i segni, le frasi, i colori, i gesti che gli si presentano davanti."...Nell'opera di Del Donno non c'è nessuna indulgenza verso la citazione e il remake, c'è piuttosto il prelievo e il rifacimento, come quando ci serviamo di un vecchio utensile o di un oggetto abbandonato e li adattiamo a nuovi usi" (Filiberto Menna, 1987). Molti critici e storici dell'arte si sono occupati del lavoro, ormai quarantennale, di Del Donno. Solo per citarne alcuni: Filiberto Menna, Mirella Bentivoglio, Achille Bonito Oliva, Elio Galasso, Nico De Vincentiis, Silvio Zanella, Antonio Petrilli.

venerdì 5 settembre 2008

ORO

OPERA D’ARTE
RINNOVO
OMAGGIO AL TRASCENDENTE

Oro, opera – rinnovo - omaggio: un omaggio al trascendente, al tema della rinascita e del rinnovo che Via Metastasio 15 propone con i lavori di Chicco Margaroli e Alexei Kyrilloff. La preziosità materica dell’oro viene ricercata come veicolo di un profondo messaggio spirituale di trasformazione.

Chicco Margaroli presenta Giostra, installazione di anelli scultura in vescica stabilizzata e foglia d’oro. L’anello simbolo di appartenenza affettiva e di proprietà è il prezioso involucro del sentimento, della relazione quotidiana tra uomo e donna e dei frutti che essa produce. Così Eden è la rappresentazione idealizzata del grande sogno d’amore, il Remigante è l’uomo che conduce nel mare della vita, il Guardiano è la forza del protettore.



L’artista presenta anche Cut-e, video sulla forza della vita che come un seme piantato germoglia fino alla recisione della nascita, al distacco dal ventre-terra della madre per poter realmente costituire una nuova esistenza.

Alexei Kyrilloff è presente con ritratti di giovani donne in carta di riso e carta pergamena in cui l’iconografia russa si mescola alla cromia brillante della terra greca dove l’artista attualmente vive e lavora. A questi si uniscono dipinti e misteriose scatole “magiche” strumenti per stimolare la mente e lo spirito verso una riscoperta del trascendente.



Il sacro dell’amore in un quotidiano omaggio alla vita.

Oro è anche la preziosa opera d’arte orafa del maestro Enrico Morbidoni.

Todi, Complesso Monumentale delle Lucrezie, Via Paolo Rolli
dal 7 al 14 settembre


Via Metastasio 15
Art Gallery & Store

La Galleria d’Arte Contemporanea Via Metastasio 15 nasce a Roma dalla volontà di due soci fondatori, l’avvocato e collezionista Alessia Montani e l’artista orafa Bianca Alfonsi.

Il mondo dell’Arte è un universo complesso e variegato e la Galleria ospita ogni forma artistica ed espressiva. Opere di pittura, scultura, fotografia e libri, di artisti già affermati in ambito internazionale o emergenti, proposti accanto a pezzi unici, o realizzati in piccola serie, da sperimentati maestri artigiani, proposti in una visione della creatività concepita su vari livelli e percorsi di trasformazione.

Via Metastasio 15 è uno spazio unico nato dalla convinzione che dove c’è armonia, bellezza e suggestione, c’è arte.

lunedì 1 settembre 2008

A ROMA LA PRIMA MOSTRA AL MONDO SU CESARE

Finalmente i grandi protagonisti della storia romana a Roma! Il Chiostro del Bramante inaugura una stagione nella sua ormai ben nota programmazione espositiva dedicandola, appunto, a questo tema.

Dal 24 ottobre 2008 al 05 aprile 2009 è in programma, la prima mostra mai realizzata in Italia e nel mondo attorno alla figura del protagonista assoluto dell'antica Roma Giulio Cesare (ca. 100 - 44 a.C.), il primo "dittatore", artefice indiscusso della grandezza del futuro impero romano di cui sarà principe, non a caso, il figlio adottivo Ottaviano, primo "Cesare Augusto".

Di Cesare le cronache abbondano di notizie, fin dai tempi che lo videro affacciarsi sul palcoscenico politico dell'Urbe e poi intrepido comandante dell'esercito romano, con cui riportò clamorose vittorie ed annessioni di nuovi territori che ingigantirono il potere di Roma in area mediterranea.
Personaggio chiave del travagliato passaggio tra la repubblica romana e l'impero, Cesare non fu mai imperatore, ma pose le basi per la solida attuazione dell'Impero. Figura d'eccezione - letterato, storico, generale e politico di straordinaria lungimiranza - iniziò già da vivo a costruire il mito di se stesso. Si presentò infatti come discendente di Venere, legato quindi al mito originario della stessa città di Roma risalente, secondo l'antica tradizione, allo stesso Enea, figlio di Venere, che si vuole sbarcato sulle rive tirreniche laziali al termine del suo lungo peregrinare, esule da Troia, come narra l'Eneide virgiliana.

Questa trama leggendaria, magistralmente costruita da Cesare, sarebbe stata ripresa e sviluppata dai suo successori al comando dell'Impero, ed instancabilmente elaborata fino ai tempi nostri. Probabilmente, senza la fine tragica del suo assassinio, che lo colse nel momento del massimo fulgore evitandogli vecchiaia e decadenza, il mito di Cesare non si sarebbe affermato con altrettanta forza.

La mostra intende partire dal personaggio Cesare e dal suo più stretto contorno politico e culturale, toccando i momenti forti della sua ascesa al potere: gli alleati-avversari - come Crasso, Pompeo, Cicerone - , le campagne militari che gli diedero gloria e ricchezza, l'avventura egiziana e l'incontro con Cleopatra, regina d'Egitto, l'ambiente culturale e artistico romano di quegli anni; fino alla morte, avvenuta alle idi di marzo del 44 a.C., alla successione al potere nelle mani del giovane figlio adottivo Ottaviano e l'apoteosi.

La memoria e il "culto" di tale eccezionale figura non si persero mai, neppure nei secoli di decadenza dell'Impero e negli anni oscuri successivi alle invasioni barbariche in Italia. Fu però in età medievale, e particolarmente con l'avverarsi del Sacro Romano Impero (inizi IX secolo), che il mito del fondatore dell'impero riprese, tanto da additarsi nella sfera sovrastante l'obelisco vaticano l'urna cineraria del grande condottiero. Si trattò per lo più di una ripresa del mito in senso ideologico-politico, tesa a riaffermare i valori unificanti del nuovo impero carolingio. All'arte spettò il compito di illustrare tale recupero.

Specialmente a partire dal Duecento e poi dal Trecento, il recupero dell'antico si afferma anche attraverso le immagini dei grandi protagonisti della storia romana, e Cesare è ovviamente tra questi. In pieno Rinascimento i celebrati cicli ad affresco del Mantegna o di Andrea del Sarto, dedicati al dittatore romano, sono conforto e paragone per il nuovo principe e il suo imperium. Letteratura e musica celebrano i fasti di Roma come quelli di Cesare, e basterà citare a mo' di esempio il Jilius Caesar di William Shakespeare.

Il mito di Cesare e il "Cesarismo" traversano i secoli e paiono riacutizzarsi tra fine Settecento e Ottocento: l'interesse per l'antico e per i suoi protagonisti riesplode con forza nel secolo dell'Illuminismo e tra i suoi protagonisti, e basterà citare l'eredità sfociata poi nella figura e nel ruolo di Napoleone I.

Sempre nel Novecento è anche e forse soprattutto il cinema, settima arte, ad aver tenuto vivo il mito di Cesare fino a noi; tanto che dall'epoca del muto ad oggi, sono oltre cento le pellicole che lo vedono diretto o indiretto protagonista. La produzione cinematografica inerente Cesare può suddividersi sinteticamente in tre periodi: gli anni Dieci del Novecento, col suo cinema d'impianto teatrale; quella degli anni Cinquanta e Sessanta, che popolarizza le gesta di Cesare e degli antichi romani; infine gli anni delle grandi produzione hollywoodiane a Cinecittà, la via più breve per esportare oltre oceano il mito di cesare e di Roma antica.

Tra gli attori che hanno dato il loro volto a quello di Cesare, due hanno segnato nell'immaginario cinematografico i suoi tratti e il suo carattere: Louis Calhern nel "Giulio Cesare" di Joseph L. Mankiewicz, del 1953, e Rex Harrison, Cesare in "Cleopatra", dello stesso regista, girato nel 1963.

La mostra riunisce per la prima volta documenti archeologici di grande importanza e bellezza (sculture, mosaici, affreschi, gioielli, gemme, monete), provenienti dai maggiori musei italiani e stranieri (tra cui i Musei Vaticani, il Museo del Louvre, i Musei Capitolini, il British Museum, il Museo Archeologico di Napoli, lo Staatliche Museum zu Berlin, il Kunsthistorishes Museum di Vienna), insieme plastici appositamente realizzati, a ricostruire la Roma di Cesare.All'arte figurativa (circa cento dipinti tra cui Guido Reni, Roubens, Tiepolo, Hayez, Rixens) è affidata la documentazione del mito di Cesare e del cesarismo dall'età medievale al Rinascimento, da qui al Neoclassicismo e oltre; fino ai primissimi decenni del Novecento, quando il cinema, attraverso filmati d'epoca, costumi di scena e scenografie, racconta il mito più recente di Cesare.

SCHEDA TECNICA

GIULIO CESARE.
L'uomo, le imprese, il mito
Roma, Chiostro del Bramante - Via della Pace
24 ottobre 2008 - 05 aprile 2009
Intero 10,00
Ridotto martedì per tutti 7,00
Gruppi (min. 15 max 25 nella settimana) 7,00
(min. 15 max 20 nel fine settimana) 9,00
Scuole 4,50

Per i gruppi la prenotazione è obbligatoria e deve essere effettuata mediante bonifico bancario entro 8 giorni dalla data della prenotazione.

Tariffe
Gruppi prenotazione 20,00
visita guidata 80,00
E' escluso il costo del biglietto

Orario: tutti i giorni: 10.00-20.00
Sab-dom: 10.00-21.00
Lunedì chiuso (La biglietteria chiude un'ora prima)

Mostra a cura di Giovanni Gentili, Paolo Liverani, Enzo Sallustro, Giovanni Villa. Catalogo Silvana Editoriale.

Info: tel. 06.68809035

DAL COSTRUITO ALL’ARCHITETTURA SENZA CARTA

Cinquanta architetti spagnoli, appartenenti a due diverse generazioni, partecipano alla mostra Dal Costruito all’Architettura Senza Carta. Da quelli che iniziarono su carta a disegnare le loro opere con il tiralinee, a quelli che operano esclusivamente con il computer, i due gruppi sono i protagonisti del Padiglione della Spagna alla 11. Mostra Internazionale di Architettura organizzata da La Biennale di Venezia. “Il nostro paese occupa una posizione fondamentale nel pensiero architettonico mondiale e sono molti gli architetti che vengono in Spagna per documentarsi nell’arte edilizia, uno dei tratti che distinguono la nostra architettura” – dichiara Beatriz Corredor, Ministra de Vivienda (Ministro dell’Edilizia abitativa) – e aggiunge “Gli architetti spagnoli sono sempre più coscienti del loro ruolo nella costruzione di una nuova cultura della città, nella quale la qualità dell’ambiente e dell’architettura sono le prime condizioni di uno spazio di convivenza più abitabile, di maggiore coesione sociale e meno egoista nell’uso delle risorse naturali”.



Curata da due architetti, Soledad del Pino e Ángel Fernández Alba (AFA Architetti), la mostra da un lato rende omaggio a ciò che è stato edificato grazie all’opera silenziosa di una generazione di maestri dell’architettura spagnola e, dall’altro, illustra un percorso verso l’architettura “senza carta”, che mette in mostra l’opera (edificata o meno) di una nuova e meravigliosa generazione che ha trovato nel computer e nella rete web la sua fonte di espressione. In entrambi i casi, si tratta di progetti inediti per la Mostra Internazionale di Architettura, dove alcuni tra gli architetti spagnoli esposti al Padiglione sono degli assoluti esordienti nell’ambito delle manifestazioni internazionali. Dal Costruito all’Architettura Senza Carta è divisa in due sezioni: "SIN NOMBRES, LUGARES" (SENZA NOMI, LUOGHI) Sei progetti, costruiti recentemente, realizzati da riconosciuti ed affermati architetti che hanno generato, in silenzio, le loro opere in risposta a una domanda ogni giorno più complessa: una biblioteca, un insieme scultoreo di abitazioni, un centro di arti sceniche, il recupero di un’antica fabbrica per la conciatura del pellame, trasformata in dimora privata. Si tratta di opere che occupano, definiscono e conformano luoghi. Luoghi che si trasformano e fanno visibile l’invisibile, progettati da: il cantabro Juan Navarro Baldeweg, Premio Nazionale per le Arti Plastiche; i catalani Llüis Clotet, Ignacio Paricio e Joseph Llinás, l’èquipe di Olot RCR Arquitectos; i baschi dello studio IMB Arquitectos e i madrileni Víctor López Cotelo e Juan Manuel Vargas Funes. Questi ultimi sono stati insigniti del Premio Manuel de la Dehesa della VII Bienal de Arquitectura Española, ottenuto con il progetto di recupero e trasformazione in edilizia residenziale della fabbrica per la conciatura del pellame (situata a Santiago de Compostela), che verrà esposto nel Padiglione.

“Tutte le opere selezionate mostrano diverse risposte di avanguardia alla modernità architettonica, che è ancora lontana dall’essere esaurita, sebbene stia per compiere i cento anni” affermano i curatori del Padiglione. E aggiungono: “Non sono stati scelti nomi appartenenti allo “star system”: abbiamo selezionato opere appena costruite e di grande qualità, firmate da professionisti che hanno alle loro spalle un ampio percorso. Nel selezionarli, abbiamo utilizzato un criterio poetico che, applicato all’architettura, la innalza all’ambito artistico”. "ARQUITECTURA SIN PAPEL" (ARCHITETTURA SENZA CARTA) Sono esposti una serie di lavori, realizzati o meno, ideati da quindici studi di architetti – alcuni di loro molto giovani - che rappresentano il presente e il futuro dell’architettura, e in cui si cerca di sperimentare ed esplorare nuovi percorsi creativi, in diversi casi vicini all’arte. Le opere sono esposte mediante animazioni, nello stesso modo in cui si possono trovare in rete, e con un elemento in comune: l’uso del mezzo digitale come linguaggio architettonico. “Si tratta di immagini nelle quali si mescolano l’architettura con altre arti, come la fotografia, il disegno grafico etc.…” affermano i curatori.